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IL LIBRO DEL CORTEGIANO

DEL CONTE BALDESAR CASTIGLIONE

A MESSER ALFONSO ARIOSTO

I

Fra me stesso lungamente ho dubitatomesser Alfonsocarissimoqual di due cose piú difficil mi fusse; o il negarvi quel che contanta instanzia piú volte m'avete richiestoo il farlo: perché da un canto miparea durissimo negar alcuna cosae massimamente laudevolea persona ch'io amosommamente e da cui sommamente mi sento esser amato; dall'altro ancor pigliarimpresala quale io non conoscessi poter condur a finepareami disconvenirsi achi estimasse le giuste riprensioni quanto estimar si debbano. In ultimodopomolti pensieriho deliberato esperimentare in questo quanto aiuto porger possaalla diligenzia mia quella affezione e desiderio intenso di compiacerechenell'altre cose tanto sòle accrescere la industria degli omini.

Voi adunque mi richiedete ch'io scriva qual siaal parermiola forma di cortegiania piú conveniente a gentilomo che viva in corte de'príncipiper la quale egli possa e sappia perfettamente loro servire in ognicosa ragionevoleacquistandone da essi grazia e dagli altri laude; in sommadiche sorte debba esser coluiche meriti chiamarsi perfetto cortegianotanto checosa alcuna non gli manchi. Onde ioconsiderando tal richiestadico chese ame stesso non paresse maggior biasimo l'esser da voi reputato poco amorevole cheda tutti gli altri poco prudentearei fuggito questa faticaper dubbio di nonesser tenuto temerario da tutti quelli che conoscono come difficil cosa siatratante varietà di costumi che s'usano nelle corti di Cristianitàeleggere lapiú perfetta forma e quasi il fior di questa cortegianiaperché laconsuetudine fa a noi spesso le medesime cose piacere e dispiacere; onde talorprocede che i costumigli abitii riti e i modiche un tempo son stati inpregiodivengono vilie per contrario i vili divengon pregiati. Però si vedechiaramente che l'uso piú che la ragione ha forza d'introdur cose nove tra noie cancellar l'antiche; delle quali chi cerca giudicar la perfezionespessos'inganna. Per il checonoscendo io questa e molte altre difficultà nellamateria propostami a scrivereson sforzato a fare un poco di escusazione erender testimonio che questo errorese pur si po dir errorea me è communecon voiacciò chese biasmo a venir me ne haquello sia ancor diviso convoi; perché non minor colpa si dee estimar la vostra avermi imposto carico allemie forze disequaleche a me averlo accettato.

Vegniamo adunque ormai a dar principio a quello che è nostropresuposto ese possibil èformiamo un cortegian taleche quel principe chesarà degno d'esser da lui servitoancor che poco stato avessesi possa peròchiamar grandissimo signore. Noi in questi libri non seguiremo un certo ordine oregula di precetti distintiche 'l piú delle volte nell'insegnare qualsivogliacosa usar si sòle; ma alla foggia di molti antichirinovando una gratamemoriarecitaremo alcuni ragionamentii quali già passarono tra ominisingularissimi a tale proposito; e benché io non v'intervenissi presenzialmenteper ritrovarmiallor che furon dettiin Inghilterraavendogli poco appressoil mio ritorno intesi da persona che fidelmente me gli narròsforzerommi apuntoper quanto la memoria mi comporteràricordarliacciò che noto vi siaquello che abbiano giudicato e creduto di questa materia omini degni di sommalaude ed al cui giudicio in ogni cosa prestar si potea indubitata fede. Né fiaancor fuor di propositoper giungere ordinatamente al fine dove tende il parlarnostronarrar la causa dei successi ragionamenti.

II

Alle pendici dell'Appenninoquasi al mezzo della Italiaverso il mare Adriaticoè postacome ognun sala piccola città d'Urbino; laqualebenché tra monti siae non cosí ameni come forse alcun'altri cheveggiamo in molti lochipur di tanto avuto ha il cielo favorevoleche intornoil paese è fertilissimo e pien di frutti; di modo cheoltre alla salubritàdell'aeresi trova abundantissima d'ogni cosa che fa mestieri per lo vivereumano. Ma tra le maggior felicità che se le possono attribuirequesta credosia la principaleche da gran tempo in qua sempre è stata dominata da ottimiSignori; avvenga che nelle calamità universali delle guerre della Italia essaancor per un tempo ne sia restata priva. Ma non ricercando piú lontanopossiamo di questo far bon testimonio con la gloriosa memoria del duca Federicoil quale a' dí suoi fu lume della Italia; né mancano veri ed amplissimìtestimoniiche ancor vivonodella sua prudenziadella umanitàdellagiustiziadella liberalitàdell'animo invitto e della disciplina militare;della quale precipuamente fanno fede le sue tante vittoriele espugnazioni delochi inespugnabilila súbita prestezza nelle espedizionil'aver molte voltecon pochissime genti fuggato numerosi e validissimi esercitiné mai esserstato perditore in battaglia alcuna; di modo che possiamo non senza ragione amolti famosi antichi agguagliarlo. Questotra l'altre cose sue lodevolinell'asperosito d'Urbino edificò un palazzosecondo la opinione di moltiil piú belloche in tutta Italia si ritrovi; e d'ogni oportuna cosa sí ben lo fornìchenon un palazzoma una città in forma de palazzo esser pareva; e non solamentedi quello che ordinariamente si usacome vasi d'argentoapparamenti di cameredi ricchissimi drappi d'orodi seta e d'altre cose similima per ornamentov'aggiunse una infinità di statue antiche di marmo e di bronzopitturesingularissimeinstrumenti musici d'ogni sorte; né quivi cosa alcuna volsesenon rarissima ed eccellente. Appresso con grandissima spesa adunò un grannumero di eccellentissimi e rarissimi libri grecilatini ed ebraiciqualitutti ornò d'oro e d'argentoestimando che questa fusse la suprema eccellenziadel suo magno palazzo.

III.

Costui adunqueseguendo il corso della naturagià disessantacinque annicome era vissocosí gloriosamente morí; ed un figliolinodi diece anniche solo maschio aveva e senza madrelasciò signore dopo sé;il qual fu Guid'Ubaldo. Questocome dello statocosí parve che di tutte levirtú paterne fosse eredee súbito con maravigliosa indole cominciò apromettere tanto di séquanto non parea che fusse licito sperare da uno uommortale; di modo che estimavano gli omini delli egregi fatti del duca Federiconiuno esser maggioreche l'avere generato un tal figliolo. Ma la fortunainvidiosa di tanta virtúcon ogni sua forza s'oppose a cosí gloriosoprincipiotalmente chenon essendo ancor il duca Guido giunto alli venti annis'infermò di podagrele quali con atrocissimi dolori procedendoin pocospazio di tempo talmente tutti i membri gli impedironoche né stare in piediné moversi potea; e cosí restò un dei piú belli e disposti corpi del mondodeformato e guasto nella sua verde età. E non contenta ancor di questolafortuna in ogni suo disegno tanto gli fu contrariach'egli rare volte trasse adeffetto cosa che desiderasse; e benché in esso fosse il consiglio sapientissimoe l'animo invittissimoparea che ciò che incominciavae nell'arme e in ognialtra cosa o piccola o grandesempre male gli succedesse: e di ciò fannotestimonio molte e diverse sue calamitàle quali esso con tanto vigor d'animosempre tolleròche mai la virtú dalla fortuna non fu superata; anzisprezzando con l'animo valoroso le procelle di quellae nella infirmità comesano e nelle avversità come fortunatissimovivea con somma dignità edestimazione appresso ognuno; di modo cheavvenga che cosí fusse del corpoinfermomilitò con onorevolissime condicioni a servicio dei serenissimi re diNapoli Alfonso e Ferrando minore; appresso con papa Alessandro VIcoi signoriVeneziani e Fiorentini. Essendo poi asceso al pontificato Iulio IIfu fattoCapitan della Chiesa; nel qual temposeguendo il suo consueto stilesopra ognialtra cosa procurava che la casa sua fusse di nobilissimi e valorosi gentilominipienacoi quali molto familiarmente vivevagodendosi della conversazione diquelli: nella qual cosa non era minor il piacer che esso ad altrui davachequello che d'altrui ricevevaper esser dottissimo nell'una e nell'altra linguaed aver insieme con l'affabilità e piacevolezza congiunta ancor la cognizioned'infinite cose; ed oltre a ciò tanto la grandezza dell'animo suo lo stimulavacheancor che esso non potesse con la persona esercitar l'opere dellacavalleriacome avea già fattopur si pigliava grandissimo piacer di vederlein altrui; e con le paroleor correggendo or laudando ciascuno secondo imeritichiaramente dimostrava quanto giudicio circa quelle avesse; onde nellegiostrenei torniamentinel cavalcarenel maneggiar tutte le sorti d'armemedesimamente nelle festenei giochinelle musichein somma in tutti gliesercizi convenienti a nobili cavalieriognuno si sforzava di mostrarsi taleche meritasse esser giudicato degno di cosí nobile commerzio.

IV.

Erano adunque tutte l'ore del giorno divise in onorevoli epiacevoli esercizi cosí del corpo come dell'animo; ma perché il signor Ducacontinuamenteper la infirmitàdopo cena assai per tempo se n'andava adormireognuno per ordinario dove era la signora duchessa Elisabetta Gonzaga aquell'ora si riduceva; dove ancor sempre si ritrovava la signora Emilia Pialaqual per esser dotata di così vivo ingegno e giudiciocome sapetepareva lamaestra di tuttie che ognuno da lei pigliasse senno e valore. Quivi adunque isoavi ragionamenti e l'oneste facezie s'udivanoe nel viso di ciascuno dipintasi vedeva una gioconda ilaritàtalmente che quella casa certo dir si poteva ilproprio albergo della allegria; né mai credo che in altro loco si gustassequanta sia la dolcezza che da una amata e cara compagnia derivacome quivi sifece un tempo; chélassando quanto onore fosse a ciascun di noi servir a talsignore come quello che già di sopra ho dettoa tutti nascea nell'animo unasumma contentezza ogni volta che al conspetto della signora Duchessa ciriducevamo; e parea che questa fosse una catena che tutti in amor tenesse unititalmente che mai non fu concordia di voluntà o amore cordiale tra fratellimaggior di quelloche quivi tra tutti era. Il medesimo era tra le donnecon lequali si aveva liberissimo ed onestissimo commerzio; ché a ciascuno era licitoparlaresederescherzare e ridere con chi gli parea: ma tanta era lareverenzia che si portava al voler della signora Duchessache la medesimalibertà era grandissimo freno; né era alcuno che non estimasse per lo maggiorpiacere che al mondo aver potesse il compiacer a leie la maggior pena ildispiacerle. Per la qual cosa quivi onestissimi costumi erano con grandissimalibertà congiunti ed erano i giochi e i risi al suo conspetto conditioltreagli argutissimi salid'una graziosa e grave maestà; ché quella modestia egrandezza che tutti gli atti e le parole e i gesti componeva della signoraDuchessamotteggiando e ridendofacea che ancor da chi mai piú veduta nonl'avessefosse per grandissima signora conosciuta. E cosí nei circonstantiimprimendosiparea che tutti alla qualità e forma di lei temperasse; ondeciascuno questo stile imitare si sforzavapigliando quasi una norma di beicostumi dalla presenzia d'una tanta e cosí virtuosa signora: le ottimecondizioni della quale io per ora non intendo narrarenon essendo miopropositoe per esser assai note al mondo e molto piú ch'io non potrei né conlingua né con penna esprimere; e quelle che forse sariano state alquantonascostela fortunacome ammiratrice di cosí rare virtúha voluto con molteavversità e stimuli di disgrazie scoprireper far testimonio che nel teneropetto d'una donna in compagnia di singular bellezza possono stare la prudenzia ela fortezza d'animoe tutte quelle virtú che ancor ne' severi omini sonorarissime.

V.

Ma lassando questodico che consuetudine di tutti igentilomini della casa era ridursi súbito dopo cena alla signora Duchessa;dovetra l'altre piacevoli feste e musiche e danze che continuamente siusavanotalor si proponeano belle questionitalor si faceano alcuni giochiingeniosi ad arbitrio or d'uno or d'un altrone' quali sotto varii velamispesso scoprivano i circonstanti allegoricamente i pensier sui a chi piú loropiaceva. Qualche volta nasceano altre disputazioni di diverse materieo vero simordea con pronti detti; spesso si faceano imprese come oggidì chiamiamo; dovedi tali ragionamenti maraviglioso piacere si pigliava per essercome ho dettopiena la casa di nobilissimi ingegni; tra i qualicome sapeteeranoceleberrimi il signor Ottaviano Fregosomesser Federico suo fratelloilMagnifico Iuliano de' Medicimesser Pietro Bembomesser Cesar Gonzagailconte Ludovico da Canossail signor Gaspar Pallavicinoil signor Ludovico Pioil signor Morello da OrtonaPietro da Napolimesser Roberto da Bari edinfiniti altri nobilissimi cavalieri; oltra che molti ve n'eranoi qualiavvenga che per ordinario non stessino quivi fermamentepur la maggior partedel tempo vi dispensavano; come messer Bernardo Bibienal'Unico AretinoIoanniCristoforo Romano Pietro MonteTerpandromesser Nicolò Frisio; di modo chesempre poetimusici e d'ogni sorte omini piacevoli e li più eccellenti in ognifacultà che in Italia si trovassinovi concorrevano.

VI.

Avendo adunque papa Iulio II con la presenzia sua e conl'aiuto de' Franzesi ridutto Bologna alla obedienzia della sede apostolicanell'anno MDVIe ritornando verso Romapassò per Urbino; dove quanto erapossibile onoratamente e con quel piú magnifico e splendido apparato che siavesse potuto fare in qualsivoglia altra nobil città d'Italiafu ricevuto; dimodo cheoltre il Papatutti i signor cardinali ed altri cortegiani restaronosummamente satisfatti; e furono alcunii qualitratti dalla dolcezza di questacompagniapartendo il Papa e la corterestarono per molti giorni ad Urbino;nel qual tempo non solamente si continuava nell'usato stile delle feste epiaceri ordinarima ognuno si sforzava d'accrescere qualche cosaemassimamente nei giochiai quali quasi ogni sera s'attendeva. E l'ordine d'essiera tale chesúbito giunti alla presenzia della signora Duchessaognuno siponea a sedere a piacer suo ocome la sorte portavain cerchio; ed eranosedendo divisi un omo ed una donnafin che donne v'eranoche quasi sempre ilnumero degli omini era molto maggiore; poicome alla signora Duchessa pareva sigovernavanola quale per lo piú delle volte ne lassava il carico alla signoraEmilia. Cosí il giorno appresso la partita del Papaessendo all'ora usataridutta la compagnia al solito locodopo molti piacevoli ragionamenti lasignora Duchessa volse pur che la signora Emilia cominciasse i giochi; ed essadopo l'aver alquanto rifiutato tal impresacosí disse: - Signora miapoichépur a voi piace ch'io sia quella che dia principio ai giochi di questa seranonpossendo ragionevolmente mancar d'obedirvidelibero proporre un giocodel qualpenso dover aver poco biasmo e men fatica; e questo sarà ch'ognun propongasecondo il parer suo un gioco non piú fatto; da poi si eleggerà quello cheparerà esser piú degno di celebrarsi in questa compagnia -. E cosí dicendosi rivolse al signor Gaspar Pallavicinoimponendogli che 'l suo dicesse; ilqual súbito rispose: - A voi toccasignoradir prima il vostro -. Disse lasignora Emilia: - Eccovi ch'io l'ho dettoma voisignora Duchessacommandategli ch'e' sia obediente -. Allor la signora Duchessa ridendo- Acciò- disse- che vi abbia ad obedirevi faccio mia locotenente e vi do tutta lamia autorità

VII.

- Gran cosa è pur- rispose il signor Gaspar- che semprealle donne sia licito aver questa esenzione di fatichee certo ragion sariavolerne in ogni modo intender la cagione; ma per non esser io quello che diaprincipio a disobedirelasserò questo ad un altro tempo e dirò quello che mitocca; - e cominciò: - A me pare che gli animi nostrisí come nel restocosí ancor nell'amare siano di giudicio diversie perciò spesso intervieneche quello che all'uno è gratissimoall'altro sia odiosissimo. Ma con tuttoquestosempre però si concordano in aver ciascuno carissima la cosa amatatalmente che spesso la troppo affezione degli amanti di modo inganna il lorogiudicioche estiman quella persona che amano essere sola al mondo ornatad'ogni eccellente virtú e senza diffetto alcuno; ma perché la natura umana nonammette queste cosí compite perfezioniné si trova persona a cui qualche cosanon manchinon si po dire che questi tali non s'ingannino e che lo amante nondivenga cieco circa la cosa amata. Vorrei adunque che questa sera il gioconostro fosseche ciascun dicesse di che virtú precipuamente vorrebbe che fosseornata quella persona ch'egli ama; e poiché cosí è necessario che tuttiabbiano qualche macchiaqual vicio ancor vorrebbe che in essa fosseper vederchi saprà ritrovare piú lodevoli ed utili virtù e più escusabili viciiemeno a chi ama nocivi ed a chi è amato -. Avendo cosí detto il signor Gasparfece segno la signora Emilia a madonna Costanza Fregosaper esser in ordinevicinache seguitasse; la qual già s'apparechiava a dire; ma la signoraDuchessa súbito disse: - Poiché madonna Emilia non vole affaticarsi in trovargioco alcunosarebbe pur ragione che l'altre donne partecipassino di questacommoditàed esse ancor fussino esente di tal fatica per questa seraessendoci massimamente tanti ominiche non è pericolo che manchin giochi. -Cosí faremo- rispose la signora Emilia; ed imponendo silenzio a madonnaCostanzasi volse a messer Cesare Gonzagache le sedeva a cantoe glicommandò che parlasse; ed esso cosí cominciò:

VIII.

- Chi vol con diligenzia considerar tutte le nostre azionitrova sempre in esse varii diffetti; e ciò procede perché la naturacosí inquesto come nell'altre cose variaad uno ha dato lume di ragione in una cosaad un altro in un'altra: però interviene chesapendo l'un quello che l'altronon sa ed essendo ignorante di quello che l'altro intendeciascun conoscefacilmente l'error del compagno e non il suo ed a tutti ci pare essere moltosavie forse piú in quello in che piú siamo pazzi; per la qual cosa abbiamveduto in questa casa esser occorso che moltii quali al principio son statireputati savissimicon processo di tempo si son conosciuti pazzissimi; il ched'altro non è proceduto che dalla nostra diligenzia. Chécome si dice che inPuglia circa gli atarantatis'adoprano molti instrumenti di musica e con variisuoni si va investigandofin che quello umore che fa la infirmitàper unacerta convenienzia ch'egli ha con alcuno di que' suonisentendolosúbito simove e tanto agita lo infermoche per quella agitazion si riduce a sanitàcosí noiquando abbiamo sentito qualche nascosa virtú di pazziatantosottilmente e con tante varie persuasioni l'abbiamo stimulata e con sí diversimodiche pur al fine inteso abbiamo dove tendeva; poiconosciuto lo umorecosí ben l'abbiam agitatoche sempre s'è ridutto a perfezion di publicapazzia; e chi è riuscito pazzo in versichi in musicachi in amorechi indanzarechi in far moreschechi in cavalcarechi in giocar di spadaciascunsecondo la minera del suo metallo; onde poicome sapetesi sono avutimaravigliosi piaceri. Tengo io adunque per certo che in ciascun di noi siaqualche seme di pazziail qual risvegliato possa multiplicar quasi in infinito.Però vorrei che questa sera il gioco nostro fusse il disputar questa materia eche ciascun dicesse: avendo io ad impazzir publicamentedi che sorte di pazziasi crede ch'io impazzissi e sopra che cosagiudicando questo esito per lescintille di pazzia che ogni dí si veggono di me uscire; il medesimo si dica detutti gli altriservando l'ordine de' nostri giochied ognuno cerchi di fondarla opinion sua sopra qualche vero segno ed argumento. E cosí di questo nostrogioco ritraremo frutto ciascun di noi di conoscere i nostri diffettiondemeglio ce ne potrem guardare; e se la vena di pazzia che scopriremo sarà tantoabundante che ci paia senza rimediol'aiutaremo esecondo la dottrina di fraMarianoaveremo guadagnato un'animache non fia poco guadagno -. Di questogioco si rise moltoné alcun era che si potesse tener di parlare; chi diceva- Io impazzirei nel pensare -; chi- Nel guardare -; chi dicea- Io già sonimpazzito in amare -; e tali cose.

IX.

Allor fra Serafinoa modo suo ridendo: - Questo- disse-sarebbe troppo lungo; ma se volete un bel giocofate che ognuno dica il parersuoonde è che le donne quasi tutte hanno in odio i ratti ed aman le serpi; evederete che niuno s'apporràse non ioche so questo secreto per una stranavia -. E già cominciava a dir sue novelle; ma la signora Emilia gli imposesilenzioe trapassando la dama che ivi sedevafece segno all'Unico Aretinoalqual per l'ordine toccava; ed essosenza aspettar altro comandamento- Io-disse- vorrei esser giudice con autorità di poter con ogni sorte di tormentoinvestigar di sapere il vero da' malfattori; e questo per scoprir gl'ingannid'una ingratala qualcogli occhi d'angelo e cor di serpentemai non accordala lingua con l'animo e con simulata pietà ingannatrice a niun'altra cosaintendeche a far anatomia de' cori: né se ritrova cosí velenoso serpe nellaLibia arenosache tanto di sangue umano sia vagoquanto questa falsa; la qualnon solamente con la dolcezza della voce e meliflue parolema con gli occhicoi risicoi sembianti e con tutti i modi è verissima sirena. Peròpoichénon m'è licitocom'io vorreiusar le catenela fune o 'l foco per saper unaveritàdesidero di saperla con un giocoil quale è questo: che ognun dicaciò che crede che significhi quella lettera Sche la signora Duchessa porta infronte; perchéavvenga che certamente questo ancor sia un artificioso velameper poter ingannareper avventura si gli darà qualche interpretazione da leiforse non pensata. e trovarassi che la fortunapietosa riguardatrice deimartíri degli ominil'ha indutta con questo piccol segno a scoprire nonvolendo l'intimo desiderio suodi uccidere e sepellir vivo in calamità chi lamira o la serve -. Rise la signora Duchessae vedendo l'Unico ch'ella volevaescusarsi di questa imputazione- Non- disse- non parlateSignorache nonè ora il vostro loco di parlare -. La signora Emilia allor si volse e disse: -Signor Uniconon è alcun di noi qui che non vi ceda in ogni cosama moltopiú nel conoscer l'animo della signora Duchessa; e cosí come piú che glialtri lo conoscete per lo ingegno vostro divinol'amate ancor piú che glialtri; i qualicome quegli uccelli debili di vistache non affisano gli occhinella spera del solenon possono cosí ben conoscer quanto esso sia perfetto;però ogni fatica saria vana per chiarir questo dubbiofuor che 'l giudiciovostro. Resti adunque questa impresa a voi solocome a quello che solo potrarla al fine -. L'Unicoavendo tacciuto alquanto ed essendogli pur replicatoche dicessein ultimo disse un sonetto sopra la materia predettadechiarandociò che significava quella lettera S; che da molti fu estimato fattoall'improvvisomaper esser ingenioso e culto piú che non parve checomportasse la brevità del temposi pensò pur che fosse pensato.

X.

Cosídopo l'aver dato un lieto applauso in laude delsonetto ed alquanto parlatoil signor Ottavian Fregosoal qual toccavain talmodo ridendo incominciò: - Signoris'io volessi affermare non aver mai sentitopassion d'amoreson certo che la signora Duchessa e la signora Emiliaancorche non lo credessinomostrarebbon di crederloe diriano che ciò procedeperch'io mi son diffidato di poter mai indur donna alcuna ad amarmi; di che invero non ho io insin qui fatto prova con tanta instanziache ragionevolmentedebba esser disperato di poterlo una volta conseguire. Né già son restato difarlo perch'io apprezzi me stesso tantoo cosí poco le donneche non estimiche molte ne siano degne d'esser amate e servite da me; ma piú tosto spaventatodai continui lamenti d'alcuni inamoratii quali pallidimesti e taciturniparche sempre abbiano la propria scontentezza dipinta negli occhi; e se parlanoaccompagnando ogni parola con certi sospiri triplicatidi null'altra cosaragionano che di lacrimedi tormentidi disperazioni e desidèri di morte; dimodo chese talor qualche scintilla amorosa pur mi s'è accesa nel coreiosúbito sònomi sforzato con ogni industria di spegnerlanon per odio ch'ioporti alle donnecome estimano queste signorema per mia salute. Ho poiconosciuti alcun'altri in tutto contrari a questi dolentii quali non solamentesi laudano e contentano dei grati aspetticare parole e sembianti suavi dellelor donnema tutti i mali condiscono di dolcezza; di modo che le guerrel'irei sdegni di quelle per dolcissimi chiamano; perché troppo piú che feliciquesti tali esser mi paiono. Ché se negli sdegni amorosii quali daquell'altri piú che morte sono reputati amarissimiessi ritrovano tantadolcezzapenso che nelle amorevoli dimostrazioni debban sentir quellabeatitudine estremache noi in vano in questo mondo cerchiamo. Vorrei adunqueche questa sera il gioco nostro fusse che ciascun dicesseavendo ad essersdegnata seco quella persona ch'egli amaqual causa vorrebbe che fosse quellache la inducesse a tal sdegno. Ché se qui si ritrovano alcuni che abbianprovato questi dolci sdegnison certo che per cortesia desideraranno una diquelle cause che cosí dolci li faed io forse m'assicurerò di passar un pocopiú avanti in amorecon speranza di trovar io ancora questa dolcezzadovealcuni trovano l'amaritudine; ed in tal modo non potranno queste signore darmiinfamia piú ch'io non ami.

XI.

Piacque molto questo gioco e già ognun si preparava diparlar sopra tal materia; ma non facendone la signora Emilia altramente mottomesser Pietro Bemboche era in ordine vicinocosí disse: - Signorinonpiccol dubbio ha risvegliato nell'animo mio il gioco proposto dal signorOttavianoavendo ragionato de' sdegni d'amore: i qualiavvenga che variisianopur a me sono essi sempre stati acerbissiminé da me credo che sipotesse imparar condimento bastante per addolcirgli; ma forse sono piú e menoamari secondo la causa donde nascono. Ché mi ricordo già aver veduto quelladonna ch'io serviva verso me turbatao per suspetto vano che da se stessa dellafede mia avesse presoo vero per qualche altra falsa opinione in lei nata dallealtrui parole a mio danno; tanto ch'io credeva niuna pena alla mia potersiagguagliare e parevami che 'l maggior dolor ch'io sentiva fusse il patire nonavendolo meritatoed aver questa afflizione non per mia colpama per poco amordi lei. Altre volte la vidi sdegnata per qualche error mio e conobbi l'ira suaproceder dal mio fallo; ed in quel punto giudicava che 'l passato mal fossestato levissimo a rispetto di quello ch'io sentiva allora; e pareami che l'esserdispiaciutoe per colpa miaa quella persona alla qual sola io desiderava econ tanto studio cercava di piacerefosse il maggior tormento e sopra tutti glialtri. Vorrei adunque che 'l gioco nostro fusse che ciascun dicesseavendo adesser sdegnata seco quella persona ch'egli amada chi vorrebbe che nascesse lacausa del sdegnoo da leio da se stesso; per saper qual è maggior doloreofar dispiacere a chi s'amao riceverlo pur da chi s'ama -.

XII.

Attendeva ognun la risposta della signora Emilia; la qual nonfacendo altrimenti motto al Bembosi volse e fece segno a messer FedericoFregoso che 'l suo gioco dicesse; ed esso súbito cosí cominciò: - Signoravorrei che mi fusse licitocome qualche volta si sòlerimettermi allasentenzia d'un altro; ch'io per me voluntieri approvarei alcun dei giochiproposti da questi signoriperché veramente parmi che tutti sarebbenpiacevoli: purper non guastar l'ordinedico che chi volesse laudar la cortenostralasciando ancor i meriti della signora Duchessala qual sola con la suadivina virtú basteria per levar da terra al cielo i piú bassi spiriti chesiano al mondoben poria senza suspetto d'adulazion dir che in tutta la Italiaforse con fatica si ritrovariano altrettanti cavalieri cosí singularied oltrealla principal profession della cavalleria cosí eccellenti in diverse cosecome or qui si ritrovano; peròse in loco alcuno son omini che meritino esserchiamati bon cortegiani e che sappiano giudicar quello che alla perfezion dellacortegiania s'appartieneragionevolmente si ha da creder che qui siano. Perreprimere adunque molti sciocchii quali per esser prosuntuosi ed inetti sicredono acquistar nome di bon cortegianovorrei che 'l gioco di questa serafusse taleche si elegesse uno della compagnia ed a questo si desse carico diformar con parole un perfetto cortegianoesplicando tutte le condicioni eparticular qualitàche si richieggono a chi merita questo nome; ed in quellecose che non pareranno convenienti sia licìto a ciascun contradirecome nellescole de' filosofi a chi tien conclusioni -. Seguitava ancor piú oltre il suoragionamento messer Federicoquando la signora Emiliainterrompendolo: -Questo- disse- se alla signora Duchessa piacesarà il gioco nostro per ora-. Rispose la signora Duchessa: - Piacemi -. Allor quasi tutti i circunstantieverso la signora Duchessa e tra sécominciarono a dir che questo era il piúbel gioco che far si potesse; e senza aspettar l'uno la risposta dell'altrofacevano instanzia alla signora Emilia che ordinasse chi gli avesse a darprincipio. La qualvoltatasi alla signora Duchessa: - Comandate- disse-Signoraa chi piú vi piace che abbia questa impresa; ch'io non voglioconelegerne uno piú che l'altromostrar di giudicare qual in questo io estimipiú sufficiente degli altried in tal modo far ingiuria a chi si sia -.Rispose la signora Duchessa: - Fate pur voi questa elezione; e guardatevi coldisubedire di non dar esempio agli altriche siano essi ancor poco ubedienti.

XIII.

Allor la signora Emiliaridendodisse al conte Ludovico daCanossa: - Adunqueper non perder piú tempovoiContesarete quello cheaverà questa impresa nel modo che ha detto messer Federico; non già perché cipaia che voi siate cosí bon cortegianoche sappiate quel che si gli convengama perchédicendo ogni cosa al contrariocome speramo che fareteil giocosarà piú belloché ognun averà che respondervi; onde se un altro chesapesse piú di voi avesse questo cariconon si gli potrebbe contradir cosaalcuna perché diria la veritàe cosí il gioco saria freddo -. Súbitorispose il Conte: - Signoranon ci saria pericolo che mancasse contradizione achi dicesse la veritàstando voi qui presente -; ed essendosi di questa risposta alquanto risoseguitò: - Ma io veramenteSignoramolto volontierfuggirei questa faticaparendomi troppo difficile e conoscendo in me ciò chevoi avete per burla detto esser verissimocioè ch'io non sappia quello che abon cortegian si conviene; e questo con altro testimonio non cerco di provareperchénon facendo l'operesi po estimar ch'io nol sappia; ed io credo chesia minor biasmo mioperché senza dubbio peggio è non voler far beneche nonsaperlo fare. Puressendo cosí che a voi piaccia che io abbia questo cariconon posso né voglio rifiutarloper non contravenir all'ordine e giudiciovostroil quale estimo piú assai che 'l mio -. Allor messer Cesare Gonzaga-Perché già- disse- è passata bon'ora di notte e qui son apparecchiatemolte altre sorti di piaceriforse bon sarà differir questo ragionamento adomani e darassi tempo al Conte di pensar ciò ch'egli s'abbia a dire; ché invero di tal subietto parlare improviso è difficil cosa -. Rispose il Conte: -Io non voglio far come coluiche spogliatosi in giuppone saltò meno che nonavea fatto col saio; e perciò parmi gran ventura che l'ora sia tardaperchéper la brevità del tempo sarò sforzato a parlar poco e 'l non avervi pensatomi escuserà talmente che mi sarà licito dir senza biasimo tutte le cose cheprima mi verranno alla bocca. Per non tener adunque piú lungamente questocarico di obligazione sopra le spalledico che in ogni cosa tanto è difficilil conoscer la vera perfezionche quasi è impossibile; e questo per lavarietà de' giudici. Però si ritrovano moltiai quali sarà grato un omo cheparli assaie quello chiameranno piacevole; alcuni si diletteranno piú dellamodestia; alcun'altri d'un omo attivo ed inquieto; altri di chi in ogni cosamostri riposo e considerazione; e cosí ciascuno sempre coprendo il vicio laudae vitupera secondo il parer suocol nome della propinqua virtúo la virtúcol nome del propinquo vicio; come chiamando un prosuntuosolibero; un modestoàrrido; un nesciobono; un sceleratoprudente; e medesimamente nel resto. Purio estimo in ogni cosa esser la sua perfezioneavvenga che nascosta; e questapotersi con ragionevoli discorsi giudicar da chi di quella tal cosa ha notizia.E perchécome ho dettospesso la verità sta occulta ed io non mi vanto averquesta cognizionenon posso laudar se non quella sorte di cortegiani ch'io piúapprezzoed approvar quello che mi par piú simile al verosecondo il mio pocogiudicio; il qual seguitaretese vi parerà bonoo vero v'attenerete alvostrose egli sarà dal mio diverso. Né io già contrasterò che 'l mio siamigliore del vostro; ché non solamente a voi po parer una cosa ed a meun'altrama a me stesso poria parer or una cosa ed ora un'altra.

XIV.

Voglio adunque che questo nostro cortegiano sia nato nobile edi generosa famiglia; perché molto men si disdice ad un ignobile mancar di faroperazioni virtuoseche ad uno nobileil qual se desvia dal camino dei suiantecessorimacula il nome della famiglia e non solamente non acquistamaperde il già acquistato; perché la nobiltà è quasi una chiara lampachemanifesta e fa veder l'opere bone e le male ed accende e sprona alla virtúcosí col timor d'infamiacome ancor con la speranza di laude; e non scoprendoquesto splendor di nobiltà l'opere degli ignobiliessi mancano dello stimulo edel timore di quella infamiané par loro d'esser obligati passar piú avantidi quello che fatto abbiano i sui antecessori; ed ai nobili par biasimo nongiunger almeno al termine da' sui primi mostratogli. Però intervien quasisempre che e nelle arme e nelle altre virtuose operazioni gli omini piúsegnalati sono nobili perché la natura in ogni cosa ha insito quello occultosemeche porge una certa forza e proprietà del suo principio a tutto quelloche da esso deriva ed a sé lo fa simile; come non solamente vedemo nelle razzede' cavalli e d'altri animalima ancor negli alberii rampolli dei quali quasisempre s'assimigliano al tronco; e se qualche volta degeneranoprocede dal malagricultore. E cosí intervien degli ominii qualise di bona crianza sonocultivatiquasi sempre son simili a quelli d'onde procedono e spessomigliorano; ma se manca loro chi gli curi benedivengono come selvatichinémai si maturano. Vero è cheo sia per favor delle stelleo di naturanasconoalcuni accompagnati da tante grazieche par che non siano natima che unqualche dio con le proprie mani formati gli abbia ed ornati de tutti i benidell'animo e del corpo; sí come ancor molti si veggono tanto inetti e sgarbatiche non si po credere se non che la natura per dispetto o per ludibrio produttigli abbia al mondo. Questi sí come per assidua diligenzia e bona crianza pocofrutto per lo piú delle volte posson farecosí quegli altri con poca faticavengon in colmo di summa eccellenzia. E per darvi un esempiovedete il signordon Ippolito da Este cardinal di Ferrarail quale tanto di felicità ha portatodal nascere suoche la personalo aspettole parole e tutti i sui movimentisono talmente di questa grazia composti ed accommodatiche tra i piú antichiprelatiavvenga che sia giovanerappresenta una tanto grave autoritàchepiú presto pare atto ad insegnareche bisognoso d'imparare; medesimamentenelconversare con omini e con donne d'ogni qualitànel giocarenel ridere e nelmotteggiare tiene una certa dolcezza e cosí graziosi costumiche forza è checiascun che gli parla o pur lo vede gli resti perpetuamente affezionato. Matornando al proposito nostrodico che tra questa eccellente grazia e quellainsensata sciocchezza si trova ancora il mezzo; e posson quei che non son danatura cosí perfettamente dotaticon studio e fatica limare e correggere ingran parte i diffetti naturali. Il cortegianoadunqueoltre alla nobiltàvoglio che sia in questa parte fortunatoed abbia da natura non solamente loingegno e bella forma di persona e di voltoma una certa grazia ecome sidiceun sangueche lo faccia al primo aspetto a chiunque lo vede grato edamabile; e sia questo un ornamento che componga e compagni tutte le operazionisue e prometta nella fronte quel tale esser degno del commerzio e grazia d'ognigran signore -.

XV.

Quivinon aspettando piú oltredisse il signor GasparPallavicino: - Acciò che il nostro gioco abbia la forma ordinata e che non paiache noi estimiam poco l'autorità dataci del contradiredico che nel cortegianoa me non par cosí necessaria questa nobiltà; e s'io mi pensassi dir cosa chead alcun di noi fusse novaio addurrei molti i qualinati di nobilissimosangueson stati pieni di vicii; e per lo contrario molti ignobiliche hannocon la virtú illustrato la posterità loro. E se è vero quello che voi dicestedianzicioè che in ogni cosa sia quella occulta forza del primo semenoitutti saremmo in una medesima condicione per aver avuto un medesimo principioné piú un che l'altro sarebbe nobile. Ma delle diversità nostre e gradid'altezza e di bassezza credo io che siano molte altre cause: tra le qualiestimo la fortuna esser precipuaperché in tutte le cose mondane la veggiamodominare e quasi pigliarsi a gioco d'alzar spesso fin al cielo chi par a leisenza merito alcunoe sepellir nell'abisso i piú degni d'esser esaltati.Confermo ben ciò che voi dite della felicità di quelli che nascon dotati deibeni dell'animo e del corpo; ma questo cosí si vede negli ignobili come neinobiliperché la natura non ha queste cosí sottili distinzioni; anzicome hodettospesso si veggono in persone bassissime altissimi doni di natura. Perònon acquistandosi questa nobiltà né per ingegno né per forza né per arteedessendo piú tosto laude dei nostri antecessori che nostra propriaa me partroppo strano voler chese i parenti del nostro cortegiano son stati ignobilitutte le sue bone qualità siano guastee che non bastino assai quell'altrecondizioni che voi avete nominateper ridurlo al colmo della perfezione: cioèingegnobellezza di voltodisposizion di persona e quella graziache al primoaspetto sempre lo faccia a ciascun gratissimo -.

XVI.

Allor il conte Ludovico- Non nego io- rispose- cheancora negli omini bassi non possano regnar quelle medesime virtú che neinobili; ma per non replicar quello che già avemo detto con molte altre ragioniche si poriano addurre in laude della nobilitàla qual sempre ed appressoognuno è onorataperché ragionevole cosa è che de' boni nascano i boniavendo noi a formare un cortegiano senza diffetto alcuno e cumulato d'ognilaudemi par necessario farlo nobilesí per molte altre causecome ancor perla opinion universalela qual súbito accompagna la nobilità. Ché se sarannodui omini di palazzoi quali non abbiano per prima dato impression alcuna di sestessi con l'opere o bone o malesúbito che s'intenda l'un esser natogentilomo e l'altro noappresso ciascuno lo ignobile sarà molto meno estimatoche 'l nobilee bisognerà che con molte fatiche e con tempo nella mente degliomini imprima la bona opinion di séche l'altro in un momentoe solamente conl'esser gentilomaverà acquistata. E di quanta importanzia siano questeimpressioniognun po facilmente comprendere; chéparlando di noiabbiamveduto capitare in questa casa ominii qualiessendo sciocchi e goffissimiper tutta Italia hanno però avuto fama di grandissimi cortegiani; e benché inultimo sian stati scoperti e conosciutipur per molti dí ci hanno ingannatoemantenuto negli animi nostri quella opinion di sé che prima in essi hannotrovato impressabenché abbiano operato secondo il lor poco valore. Avemoveduti altrial principio in pochissima estimazionepoi esser all'ultimoriusciti benissimo. E di questi errori sono diverse cause; e tra l'altre laostinazion dei signorii qualiper voler far miracolitalor si mettono a darfavore a chi par loro che meriti disfavore. E spesso ancor essi s'ingannano; maperché sempre hanno infiniti imitatoridal favor loro deriva grandissima famala qual per lo piú i giudici vanno seguendo; e se ritrovano qualche cosa chepaia contraria alla commune opinionedubitano di ingannar se medesimi e sempreaspettano qualche cosa di nascostoperché pare che queste opinioni universalidebbano pur esser fondate sopra il vero e nascere da ragionevoli causeeperché gli animi nostri sono prontissimi allo amore ed all'odiocome si vedenei spettaculi de' combattimenti e de' giochi e d'ogni altra sorte contenzionedove i spettatori spesso si affezionano senza manifesta cagione ad una delleparticon desiderio estremo che quella resti vincente e l'altra perda. Circa laopinione ancor delle qualità degli ominila bona fama o la mala nel primoentrare move l'animo nostro ad una di queste due passioni. Però interviene cheper lo piú noi giudichiamo con amoreo vero con odio. Vedete adunque di quantaimportanzia sia questa prima impressione e come debba sforzarsi d'acquistarlabona nei princípi chi pensa aver grado e nome di bon cortegiano.

XVII.

Ma per venire a qualche particularitàestimo che laprincipale e vera profession del cortegiano debba esser quella dell'arme; laqual sopra tutto voglio che egli faccia vivamente e sia conosciuto tra gli altriper ardito e sforzato e fidele a chi serve. E 'l nome di queste bone condicionisi acquisterà facendone l'opere in ogni tempo e locoimperò che non è licitoin questo mancar maisenza biasimo estremo; e come nelle donne la onestàunavolta macchiatamai piú non ritorna al primo statocosí la fama d'ungentilom che porti l'armese una volta in un minimo punto si denigra percoardia o altro rimprocciosempre resta vituperosa al mondo e pienad'ignominia. Quanto piú adunque sarà eccellente il nostro cortegiano in questaartetanto piú sarà degno di laude; bench'io non estimi esser in luinecessaria quella perfetta cognizion di cose e l'altre qualitàche ad uncapitano si convengono; ché per esser questo troppo gran marene contentatemocome avemo dettodella integrità di fede e dell'animo invitto e che sempre sivegga esser tale: perché molte volte piú nelle cose piccole che nelle grandisi conoscono i coraggiosi; e spesso ne' pericoli d'importanziae dove son moltitestimoniisi ritrovano alcuni li qualibenché abbiano il core morto nelcorpopur spinti dalla vergogna o dalla compagniaquasi ad occhi chiusi vannoinanzi e fanno il debito loroe Dio sa come; e nelle cose che poco premono edove par che possano senza esser notati restar di mettersi a pericolovolentiersi lasciano acconciare al sicuro. Ma quelli che ancor quando pensano non doveresser d'alcuno né miratiné vedutiné conosciutimostrano ardire e nonlascian passar cosaper minima ch'ella siache possa loro esser caricohannoquella virtú d'animo che noi ricerchiamo nel nostro cortegiano. Il quale nonvolemo però che si mostri tanto fieroche sempre stia in su le brave parole edica aver tolto la corazza per mogliee minacci con quelle fiere guardature chespesso avemo vedute fare a Berto; ché a questi tali meritamente si po dirquelloche una valorosa donna in una nobile compagnia piacevolmente disse adunoch'io per ora nominar non voglio; il qualeessendo da leiper onorarloinvitato a danzaree rifiutando esso e questo e lo udir musica e molti altriintertenimenti offertiglisempre con dir cosí fatte novelluzze non esser suomestieroin ultimodicendo la donna"Qual è adunque il mestiervostro?"rispose con un mal viso: "Il combattere"; allora ladonna súbito: "Crederei"disse"che or che non siete allaguerrané in termine de combatterefosse bona cosa che vi faceste molto benuntare ed insieme con tutti i vostri arnesi da battaglia riporre in un armariofinché bisognasseper non ruginire più di quello che siate"; e cosícon molte risa de' circunstantiscornato lasciollo nella sua scioccaprosunzione. Sia adunque quello che noi cerchiamodove si veggon gli inimicifierissimoacerbo e sempre tra i primi; in ogni altro locoumanomodesto eritenutofuggendo sopra tutto la ostentazione e lo impudente laudar se stessoper lo quale l'uomo sempre si còncita odio e stomaco da chi ode -.

XVIII

- Ed io- rispose allora il signor Gaspar- ho conosciutipochi omini eccellenti in qualsivoglia cosache non laudino se stessi; e parmiche molto ben comportar lor si possaperché chi si sente valerequando sivede non esser per l'opere dagli ignoranti conosciutosi sdegna che 'l valorsuo stia sepulto e forza è che a qualche modo lo scopraper non esseredefraudato dell'onoreche è il vero premio delle virtuose fatiche. Però tragli antichi scrittorichi molto vale rare volte si astien da laudar se stesso.Quelli ben sono intollerabili cheessendo di niun meritosi laudano; ma talnon presumiam noi che sia il nostro cortegiano -. Allor il Conte- Se voi-disse- avete intesoio ho biasmato il laudare se stesso impudentemente esenza rispetto; e certocome voi ditenon si dee pigliar mala opinion d'un omovalorosoche modestamente si laudi; anzi toôr quello per testimonio piú certoche se venisse di bocca altrui. Dico ben che chilaudando se stessononincorre in errorené a sé genera fastidio o invidia da chi odequello èdiscretissimo edoltre alle laudi che esso si dàne merita ancor dagli altri;perché è cosa difficil assai -. Allora il signor Gaspar- Questo- disse-ci avete da insegnar voi -. Rispose il Conte: - Tra gli antichi scrittori non èancor mancato chi l'abbia insegnato; maal parer mioil tutto consiste in dirle cose di modoche paia che non si dicano a quel finema che caggianotalmente a propositoche non si possa restar di dirlee sempre mostrandofuggir le proprie laudidirle pure; ma non di quella maniera che fanno questibraviche aprono la bocca e lascian venir le parole alla ventura; come pochidí fa disse un de' nostri cheessendogli a Pisa stato passata una coscia conuna picca da una banda all'altrapensò che fosse una mosca che l'avesse punto;ed un altro disse che non teneva specchio in camera perché quando si crucciavadiveniva tanto terribile nell'aspettoche veggendosi aría fatto troppo granpaura a se stesso -. Rise qui ognuno; ma messer Cesare Gonzaga suggiunse: - Diche ridete voi? Non sapete che Alessandro Magnosentendo che opinion d'unfilosofo era che fussino infiniti mondicominciò a piangereed essendolidomandato perché piangevarispose"Perch'io non ne ho ancor preso unsolo"; come se avesse avuto animo di pigliarli tutti?. Non vi par chequesta fosse maggior braveria che il dir della puntura della mosca? - Disseallor il Conte: - Anco Alessandro era maggior uom che non era colui che dissequella. Ma agli omini eccellenti in vero si ha da perdonare quando presumonoassai di sé; perché chi ha da far gran cosebisogna che abbia ardir di farlee confidenzia di se stesso e non sia d'animo abbietto o vilema sí ben modestoin parolemostrando di presumer meno di se stesso che non fapur che quellapresunzione non passi alla temerità -.

XIX

Quivi facendo un poco di pausa il Contedisse ridendo messerBernardo Bibiena: - Ricordomi che dianzi diceste che questo nostro cortegianoaveva da esser dotato da natura di bella forma di volto e di personacon quellagrazia che lo facesse cosí amabile. La grazia e 'l volto bellissimo penso percerto che in me sia e perciò interviene che tante donnequante sapeteardenodell'amor mio; ma della forma del corpo sto io alquanto dubbiosoe massimamenteper queste mie gambeche in vero non mi paiono cosí atte com'io vorrei; delbusto e del resto contentomi pur assai bene. Dichiarate adunque un poco piúminutamente questa forma del corpoquale abbia ella da essereacciò che iopossa levarmi di questo dubbio e star con l'animo riposato -. Essendosi diquesto riso alquantosuggiunse il Conte: - Certo quella grazia del voltosenzamentiredir si po esser in voiné altro esempio adduco che questoperdechiarire che cosa ella sia; ché senza dubbio veggiamo il vostro aspetto essergratissimo e piacere ad ognunoavvenga che i lineamenti d'esso non siano moltodelicati; ma tien del virilee pur è grazioso; e trovasi questa qualità inmolte e diverse forme di volti. E di tal sorte voglio io che sia lo aspetto delnostro cortegianonon cosí molle e feminile come si sforzano d'aver moltichenon solamente si crespano i capegli e spelano le cigliama si strisciano contutti que' modi che si faccian le piú lascive e disoneste femine del mondo; epare che nello andarenello stare ed in ogni altro lor atto siano tanto tenerie languidiche le membra siano per staccarsi loro l'uno dall'altro; epronunziano quelle parole cosí afflitteche in quel punto par che lo spiritoloro finisca; e quanto piú si trovano con omini di gradotanto piú usano taitermini. Questipoiché la naturacome essi mostrano desiderare di parere edesserenon gli ha fatti feminedovrebbono non come bone femine esser estimatimacome publiche meretricinon solamente delle corti de' gran signorima delconsorzio degli omini nobili esser cacciati.

XX.

Vegnendo adunque alla qualità della personadico bastarch'ella non sia estrema in piccolezza né in grandezzaperché e l'una el'altra di queste condicioni porta seco una certa dispettosa maraviglia e sonogli omini di tal sorte mirati quasi di quel modo che si mirano le cosemonstruose; benchéavendo da peccare nell'una delle due estremitàmen maleè l'esser un poco diminutoche ecceder la ragionevol misura in grandezza;perché gli omini cosí vasti di corpooltra che molte volte di ottuso ingegnosi trovanosono ancor inabili ad ogni esercizio di agilitàla qual cosa iodesidero assai nel cortegiano. E perciò voglio che egli sia di bonadisposizione e de' membri ben formatoe mostri forza e leggerezza e disciolturae sappia de tutti gli esercizi di personache ad uom di guerra s'appartengono;e di questo penso il primo dever essere maneggiar ben ogni sorte d'arme a piedied a cavallo e conoscere i vantaggi che in esse sonoe massimamente avernotizia di quell'arme che s'usano ordinariamente tra' gentilomini; perchéoltre all'operarle alla guerradove forse non sono necessarie tante sottilitàintervengono spesso differenzie tra un gentilom e l'altroonde poi nasce ilcombatteree molte volte con quell'arme che in quel punto si trovano a canto;però il saperne è cosa securissima. Né son io già di que' che diconocheallora l'arte si scorda nel bisogno; perché certamente chi perde l'arte in queltempodà segno che prima ha perduto il core e 'l cervello di paura.

XXI.

Estimo ancora che sia di momento assai il saper lottareperché questo accompagna molto tutte l'arme da piedi. Appresso bisogna che eper sé e per gli amici intenda le querele e differenzie che possono occorreree sia avvertito nei vantaggiin tutto mostrando sempre ed animo e prudenzia;né sia facile a questi combattimentise non quanto per l'onor fosse sforzato;cheoltre al gran pericolo che la dubbiosa sorte seco portachi in tai coseprecipitosamente e senza urgente causa incorremerita grandissimo biasimoavvenga che ben gli succeda. Ma quando si trova l'omo esser entrato tantoavantiche senza carico non si possa ritrarredee e nelle cose che occorronoprima del combatteree nel combattereesser deliberatissimo e mostrar sempreprontezza e core; e non far com'alcuniche passano la cosa in dispute e puntied avendo la elezion dell'armepigliano arme che non tagliano né pungono es'armano come s'avessero ad aspettar le cannonate; e parendo lor bastare il nonesser vintistanno sempre in sul diffendersi e ritirarsitanto che mostranoestrema viltà; onde fannosi far la baia da' fanciullicome que' dui Anconitaniche poco fa combatterono a Perugia e fecero ridere chi gli vide. - E quali furonquesti? - disse il signor Gaspar Pallavicino. Rispose messer Cesare: - Duifratelli consobrini -. Disse allora il Conte: - Al combattere parvero fratellicarnali; - poi suggionse: - Adopransi ancor l'arme spesso in tempo di pace indiversi esercizie veggonsi i gentilomini nei spettacoli publici alla presenziade' populidi donne e di gran signori. Però voglio che 'l nostro cortegianosia perfetto cavalier d'ogni sellaed oltre allo aver cognizion di cavalli e diciò che al cavalcare s'appartieneponga ogni studio e diligenzia di passar inogni cosa un poco piú avanti che gli altridi modo che sempre tra tutti siaper eccellente conosciuto. E come si legge d'Alcibiade che superò tutte lenazioni presso alle quali egli vissee ciascuna in quello che piú era suopropriocosí questo nostro avanzi gli altrie ciascuno in quello di che piúfa professione. E perché degli Italiani è peculiar laude il cavalcare benealla bridail maneggiar con ragione massimamente cavalli asperiil correrlance e 'l giostraresia in questo de' migliori Italiani; nel tornearetenerun passocombattere una sbarrasia bono tra i miglior Franzesi; nel giocare acannecorrer torilanzar aste e dardisia tra i Spagnoli eccellente. Ma sopratutto accompagni ogni suo movimento con un certo bon giudicio e graziase volemeritar quell'universal favore che tanto s'apprezza.

XXII.

Sono ancor molti altri esercizii qualibenché nondependano drittamente dalle armepur con esse hanno molta convenienzia etengono assai d'una strenuità virile; e tra questi parmi la caccia esser de'principaliperché ha una certa similitudine di guerra; ed è veramente piacerda gran signori e conveniente ad uom di corte; e comprendesi che ancor tra gliantichi era in molta consuetudine. Conveniente è ancor saper nuotaresaltarecorreregittar pietre perchéoltre alla utilità che di questo si po averealla guerramolte volte occorre far prova di sé in tai cose; onde s'acquistabona estimazionemassimamente nella moltitudinecon la quale bisogna pur chel'om s'accommodi. Ancor nobile esercizio e convenientissimo ad uom di corte èil gioco di pallanel quale molto si vede la disposizion del corpo e laprestezza e discioltura d'ogni membroe tutto quello che quasi in ogni altroesercizio si vede. Né di minor laude estimo il volteggiar a cavalloil qualeabbenché sia faticoso e difficilefa l'omo leggerissimo e destro piú chealcun'altra cosa; ed oltre alla utilitàse quella leggerezza è compagnata dibona graziafaal parer miopiú bel spettaculo che alcun degli altri.Essendo adunque il nostro cortegiano in questi esercizi piú che mediocrementeespertopenso che debba lasciar gli altri da canto; come volteggiar in terraandar in su la corda e tai coseche quasi hanno del giocolare e poco sono agentilomo convenienti. Ma perché sempre non si po versar tra queste cosífaticose operazionioltra che ancor la assiduità sazia molto e leva quellaammirazione che si piglia delle cose rarebisogna sempre variar con diverseazioni la vita nostra. Però voglio che 'l cortegiano descenda qualche volta apiú riposati e placidi esercizie per schivar la invidia e per intertenersipiacevolmente con ognuno faccia tutto quello che gli altri fannonons'allontanando però mai dai laudevoli atti e governandosi con quel bon giudicioche non lo lassi incorrere in alcuna sciocchezza; ma ridascherzimotteggiballi e danzinientedimeno con tal manierache sempre mostri esser ingenioso ediscreto ed in ogni cosa che faccia o dica sia aggraziato -.

XXIII.

- Certo- disse allor messer Cesare Gonzaga- non si dovriagià impedir il corso di questo ragionamento; mase io tacessinon satisfareialla libertà ch'io ho di parlarené al desiderio di saper una cosa; e siamiperdonato s'ioavendo a contradiredimanderò; perché questo credo che mi sialicitoper esempio del nostro messer Bernardoil quale per troppo vogliad'esser tenuto bell'omoha contrafatto alle leggi del nostro giocodomandandoe non contradicendo. - Vedete- disse allora la signora Duchessa- come da unerror solo molti ne procedono. Però chi falla e dà mal esempiocome messerBernardonon solamente merita esser punito del suo falloma ancor dell'altrui-. Rispose allora messer Cesare: - Dunque ioSignorasarò esente di penaavendo messer Bernardo ad esser punito del suo e del mio errore. - Anzi- dissela signora Duchessa- tutti dui devete aver doppio castigo: esso del suo falloe dello aver indutto voi a fallire; voi del vostro fallo e dello aver imitatochi falliva. - Signora- rispose messer Cesare- io fin qui non ho fallito;peròper lasciar tutta questa punizione a messer Bernardo solotacerommi -. Egià si taceva; quando la signora Emilia ridendo- Dite ciò che vi piace-rispose- Chécon licenzia però della signora Duchessaio perdono a chi hafallito e a chi fallirà in cosí piccol fallo -. Suggiunse la signora Duchessa:- Io son contenta; ma abbiate cura che non v'inganniatepensando forse meritarpiú con l'esser clemente che con l'esser giusta; perché perdonando troppo achi falla si fa ingiuria a chi non falla. Pur non voglio che la mia austeritàper oraaccusando la indulgenzia vostrasia causa che noi perdiamo d'udirquesta domanda di messer Cesare -. Cosí essoessendogli fatto segno dallasignora Duchessa e dalla signora Emiliasúbito disse:

XXIV.

- Se ben tengo a memoriaparmisignor Conteche voi questasera piú volte abbiate replicato che 'l cortegiano ha da compagnare l'operazionsuei gestigli abitiin somma ogni suo movimento con la grazia; e questo mipar che mettiate per un condimento d'ogni cosasenza il quale tutte l'altreproprietà e bone condicioni sian di poco valore. E veramente credo io che ognunfacilmente in ciò si lasciarebbe persuadereperché per la forza del vocabulosi po dir che chi ha grazia quello è grato. Ma perché voi dicestequestospesse volte esser don della natura e de' cielied ancor quando non è cosíperfetto potersi con studio e fatica far molto maggiorequegli che nasconocosí avventurosi e tanto ricchi di tal tesorocome alcuni che ne veggiamoame par che in ciò abbiano poco bisogno d'altro maestro; perché quel benignofavor del cielo quasi al suo dispetto i guida piú alto che essi non desideranoe fagli non solamente gratima ammirabili a tutto il mondo. Però di questo nonragiononon essendo in poter nostro per noi medesimi l'acquistarlo. Ma quelliche da natura hanno tanto solamenteche son atti a poter esser aggraziatiaggiungendovi faticaindustria e studiodesidero io di saper con qual artecon qual disciplina e con qual modo possono acquistar questa graziacosí negliesercizi del corponei quali voi estimate che sia tanto necessariacome ancorin ogni altra cosa che si faccia o dica. Peròsecondo che col laudarci moltoquesta qualità a tutti avetecredogenerato una ardente sete di conseguirlaper lo carico dalla signora Emilia impostovi siete ancor con lo insegnarciobligato ad estinguerla

XXV.

- Obligato non son io- disse il Conte- ad insegnarvi adiventar aggraziatiné altroma solamente a dimostrarvi qual abbia ad essereun perfetto cortegiano. Né io già pigliarei impresa di insegnarvi questaperfezionemassimamente avendo poco fa detto che 'l cortegiano abbia da saperlottare e volteggiare e tant'altre cosele quali come io sapessi insegnarvinon le avendo mai imparateso che tutti lo conoscete. Basta che sí come un bonsoldato sa dire al fabro di che foggia e garbo e bontà hanno ad esser l'armené però gli sa insegnar a farlené come le martelli o tempricosí io forsevi saprò dir qual abbia ad esser un perfetto cortegianoma non insegnarvi comeabbiate a fare per divenirne. Purper satisfare ancor quanto è in poter mioalla domanda vostrabenché e' sia quasi in proverbio che la grazia nons'imparidico che chi ha da esser aggraziato negli esercizi corporalipresuponendo prima che da natura non sia inabiledee cominciar per tempo edimparar i princípi da ottimi maestri; la qual cosa quanto paresse a Filippo redi Macedonia importantesi po comprendereavendo voluto che Aristoteletantofamoso filosofo e forse il maggior che sia stato al mondo maifosse quello cheinsegnasse i primi elementi delle lettere ad Alessandro suo figliolo. E delliomini che noi oggidí conoscemoconsiderate come bene ed aggraziatamente fa ilsignor Galleazzo Sanseverinogran scudiero di Francia tutti gli esercizi delcorpo; e questo perchéoltre alla natural disposizione ch'egli tiene dellapersonaha posto ogni studio d'imparare da bon maestri ed aver sempre presso disé omini eccellenti e da ognun pigliar il meglio di ciò che sapevano; ché sícome del lottarevolteggiare e maneggiar molte sorti d'armi ha tenuto per guidail nostro messer Pietro Monteil qualcome sapeteè il vero e solo maestrod'ogni artificiosa forza e leggerezzacosí del cavalcaregiostrare equalsivoglia altra cosa ha sempre avuto inanzi agli occhi i piú perfettichein quelle professioni siano stati conosciuti.

XXVI.

Chi adunque vorrà esser bon discipulooltre al far le cosebenesempre ha da metter ogni diligenzia per assimigliarsi al maestro esepossibil fossetransformarsi in lui. E quando già si sente aver fattoprofittogiova molto veder diversi omini di tal professione egovernandosi conquel bon giudicio che sempre gli ha da esser guidaandar scegliendo or da un orda un altro varie cose. E come la pecchia ne' verdi prati sempre tra l'erbe vacarpendo i fioricosí il nostro cortegiano averà da rubare questa grazia daque' che a lui parerà che la tenghino e da ciascun quella parte che piú saràlaudevole; e non far come un amico nostroche voi tutti conosceteche sipensava esser molto simile al re Ferrando minore d'Aragonané in altro aveaposto cura d'imitarloche nel spesso alzare il capotorzendo una parte dellaboccail qual costume il re avea contratto cosí da infirmità. E di questimolti si ritrovanoche pensan far assaipur che sian simili a un grand'omo inqualche cosa; e spesso si appigliano a quella che in colui è sola viciosa. Maavendo io già piú volte pensato meco onde nasca questa grazialasciandoquelli che dalle stelle l'hannotrovo una regula universalissimala qual mipar valer circa questo in tutte le cose umane che si facciano o dicano piú chealcuna altrae ciò è fuggir quanto piú si poe come un asperissimo epericoloso scogliola affettazione; eper dir forse una nova parolausar inogni cosa una certa sprezzaturache nasconda l'arte e dimostri ciò che si fa edice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io chederivi assai la grazia; perché delle cose rare e ben fatte ognun sa ladifficultàonde in esse la facilità genera grandissima maraviglia; e per locontrario il sforzare ecome si dicetirar per i capegli dà somma disgrazia efa estimar poco ogni cosaper grande ch'ella si sia. Però si po dir quellaesser vera arte che non pare esser arte; né piú in altro si ha da ponerstudioche nel nasconderla: perché se è scopertaleva in tutto il credito efa l'omo poco estimato. E ricordomi io già aver letto esser stati alcuniantichi oratori eccellentissimii quali tra le altre loro industrie sforzavansidi far credere ad ognuno sé non aver notizia alcuna di lettere; e dissimulandoil sapere mostravan le loro orazioni esser fatte simplicissimamentee piútosto secondo che loro porgea la natura e la veritàche 'l studio e l'arte; laqual se fosse stata conosciutaaría dato dubbio negli animi del populo di nondover esser da quella ingannati. Vedete adunque come il mostrar l'arte ed uncosí intento studio levi la grazia d'ogni cosa. Qual di voi è che non ridaquando il nostro messer Pierpaulo danza alla foggia suacon que' saltetti egambe stirate in punta di piedesenza mover la testacome se tutto fosse unlegnocon tanta attenzioneche di certo pare che vada numerando i passi? Qualocchio è cosí ciecoche non vegga in questo la disgrazia della affettazione?e la grazia in molti omini e donne che sono qui presentidi quella sprezzatadesinvoltura (ché nei movimenti del corpo molti cosí la chiamano)con unparlar o ridere o adattarsimostrando non estimar e pensar piú ad ogni altracosa che a quelloper far credere a chi vede quasi di non saper né potererrare?

XXVII.

Quivi non aspettandomesser Bernardo Bibiena disse: - Eccoviche messer Roberto nostro ha pur trovato chi laudarà la foggia del suo danzarepoiché tutti voi altri pare che non ne facciate caso; ché se questaeccellenzia consiste nella sprezzatura e mostrar di non estimare e pensar piúad ogni altra cosa che a quello che si famesser Roberto nel danzare non hapari al mondo; ché per mostrar ben di non pensarvi si lascia cader la robbaspesso dalle spalle e le pantoffole de' piedie senza raccórre né l'uno nél'altrotuttavia danza -. Rispose allor il Conte: - Poiché voi volete purch'io dicadirò ancor dei vicii nostri. Non v'accorgete che questoche voi inmesser Roberto chiamate sprezzaturaè vera affettazione? perché chiaramentesi conosce che esso si sforza con ogni studio mostrar di non pensarvie questoè il pensarvi troppo; e perché passa certi termini di mediocrità quellasprezzatura è affettata e sta male; ed è una cosa che a punto riesce alcontrario del suo presupositocioè di nasconder l'arte. Però non estimo ioche minor vicio della affettazion sia nella sprezzaturala quale in sé èlaudevolelasciarsi cadere i panni da dossoche nella attillaturache purmedesimamente da sé è laudevoleil portar il capo cosí fermo per paura dinon guastarsi la zazzerao tener nel fondo della berretta il specchio e 'lpettine nella manicaed aver sempre drieto il paggio per le strade con lasponga e la scopetta; perché questa cosí fatta attillatura e sprezzaturatendono troppo allo estremo; il che sempre è viciosoe contrario a quella puraed amabile simplicitàche tanto è grata agli animi umani. Vedete come uncavalier sia di mala graziaquando si sforza d'andare cosí stirato in su lasella ecome noi sogliam direalla venezianaa comparazion d'un altrochepaia che non vi pensi e stia a cavallo cosí disciolto e sicuro come se fosse apiedi. Quanto piace piú e quanto piú è laudato un gentilom che porti armemodestoche parli poco e poco si vantiche un altroil quale sempre stia insul laudar se stessoe biastemando con braveria mostri minacciar al mondo! eniente altro è questoche affettazione di voler parer gagliardo. Il medesimoaccade in ogni esercizioanzi in ogni cosa che al mondo fare o dir si possa

XXVIII.

Allora il signor Magnifico- Questo ancor- disse- siverifica nella musicanella quale è vicio grandissimo far due consonanzieperfette l'una dopo l'altra; tal che il medesimo sentimento dell'audito nostrol'aborrisce e spesso ama una seconda o settimache in sé è dissonanzia asperaed intollerabile; e ciò procede che quel continuare nelle perfette generasazietà e dimostra una troppo affettata armonia; il che mescolando leimperfette si fuggecol far quasi un paragonedonde piú le orecchie nostrestanno suspese e piú avidamente attendono e gustano le perfettee dilettansitalor di quella dissonanzia della seconda o settimacome di cosa sprezzata. -Eccovi adunque- rispose il Conte- che in questo nòce l'affettazionecomenell'altre cose. Dicesi ancor esser stato proverbio presso ad alcunieccellentissimi pittori antichi troppa diligenzia esser nocivaed esser statobiasmato Protogene da Apelleche non sapea levar le mani dalla tavola -. Disseallora messer Cesare: - Questo medesimo diffetto parmi che abbia il nostro fraSerafinodi non saper levar le mani dalla tavolaalmen fin che in tutto non nesono levate ancora le vivande -. Rise il Conte e suggiunse: - Voleva dire Apelleche Protogene nella pittura non conoscea quel che bastava; il che non era altroche riprenderlo d'esser affettato nelle opere sue. Questa virtú adunquecontraria alla affettazionela qual noi per ora chiamiamo sprezzaturaoltrache ella sia il vero fonte donde deriva la graziaporta ancor seco un altroornamentoil quale accompagnando qualsivoglia azione umanaper minima che ellasianon solamente súbito scopre il saper di chi la fama spesso lo fa estimarmolto maggior di quello che è in effetto; perché negli animi dellicircunstanti imprime opinioneche chi cosí facilmente fa bene sappia moltopiú di quello che fae se in quello che fa ponesse studio e faticapotessefarlo molto meglio. E per replicare i medesimi esempieccovi che un uom chemaneggi l'armese per lanzar un dardoo ver tenendo la spada in mano aaltr'armasi pon senza pensar scioltamente in una attitudine prontacon talfacilità che paia che il corpo e tutte le membra stiano in quella disposizionenaturalmente e senza fatica alcunaancora che non faccia altroad ognuno sidimostra esser perfettissimo in quello esercizio. Medesimamente nel danzare unpasso soloun sol movimento della persona grazioso e non sforzatosúbitomanifesta il sapere de chi danza. Un musicose nel cantar pronunzia una solavoce terminata con suave accento in un groppetto duplicatocon tal facilitàche paia che cosí gli venga fatto a casocon quel punto solo fa conoscere chesa molto piú di quello che fa. Spesso ancor nella pittura una linea sola nonstentataun sol colpo di pennello tirato facilmentedi modo che paia che lamanosenza esser guidata da studio o arte alcunavada per se stessa al suotermine secondo la intenzion del pittorescopre chiaramente la eccellenziadell'artificecirca la opinion della quale ognuno poi si estende secondo il suogiudicio e 'l medesimo interviene quasi d'ogni altra cosa. Sarà adunque ilnostro cortegiano stimato eccellente ed in ogni cosa averà graziamassimamentenel parlarese fuggirà l'affettazione; nel qual errore incorrono moltietalor piú che gli altri alcuni nostri Lombardi; i qualise sono stati un annofuor di casaritornati súbito cominciano a parlare romanotalor spagnolo ofranzesee Dio sa come; e tutto questo procede da troppo desiderio di mostrardi saper assai; ed in tal modo l'omo mette studio e diligenzia in acquistar unvicio odiosissimo. E certo a me sarebbe non piccola faticase in questi nostriragionamenti io volessi usar quelle parole antiche toscaneche già sono dallaconsuetudine dei Toscani d'oggidí rifiutate; e con tutto questo credo che ognundi me rideria

XXIX.

Allor messer Federico- Veramente- disse- ragionando tranoicome or facciamoforse saria male usar quelle parole antiche toscane;perchécome voi ditedariano fatica a chi le dicesse ed a chi le udisse e nonsenza difficultà sarebbono da molti intese. Ma chi scrivessecrederei ben ioche facesse errore non usandole perché dànno molta grazia ed autorità allescritturee da esse risulta una lingua piú grave e piena di maestà che dallemoderne. - Non so- rispose il Conte- che grazia o autorità possan dar allescritture quelle parole che si deono fuggirenon solamente nel modo delparlarecome or noi facciamo (il che voi stesso confessate)ma ancor in ognialtro che imaginar si possa. Ché se a qualsivoglia omo di bon giudiciooccorresse far una orazione di cose gravi nel senato proprio di Fiorenzache èil capo di Toscanao ver parlar privatamente con persona di grado in quellacittà di negoci importantio ancor con chi fosse dimestichissimo di cosepiacevolicon donne o cavalieri d'amoreo burlando o scherzando in festegiochio dove si siao in qualsivoglia tempoloco o propositoson certo chesi guardarebbe d'usar quelle parole antiche toscane; ed usandoleoltre al farfar beffe di sédarebbe non poco fastidio a ciascun che lo ascoltasse. Parmiadunque molto strana cosa usare nello scrivere per bone quelle paroleche sifuggono per viciose in ogni sorte di parlare; e voler che quello che mai non siconviene nel parlaresia il piú conveniente modo che usar si possa nelloscrivere. Ché pursecondo mela scrittura non è altro che una forma diparlare che resta ancor poi che l'omo ha parlatoe quasi una imagine o piúpresto vita delle parolee però nel parlareil qualsúbito uscita che è lavocesi disperdeson forse tollerabili alcune cose che non sono nelloscrivere; perché la scrittura conserva le parole e le sottopone al giudicio dichi legge e dà tempo di considerarle maturamente. E perciò è ragionevole chein questa si metta maggior diligenzia per farla piú culta e castigata; nonperò di modo che le parole scritte siano dissimili dalle dettema che nelloscrivere si eleggano delle piú belle che s'usano nel parlare. E se nelloscrivere fosse licito quello che non è licito nel parlarene nascerebbe uninconveniente al parer mio grandissimoche è che più licenzia usar si poriain quella cosanella qual si dee usar piú studio; e la industria che si mettenello scrivere in loco di giovar nocerebbe. Però certo è che quello che siconviene nello scrivere si convien ancor nel parlare; e quel parlar èbellissimoche è simile ai scritti belli. Estimo ancora che molto piú sianecessario l'esser inteso nello scrivere che nel parlare; perché quelli chescrivono non son sempre presenti a quelli che leggonocome quelli che parlano aquelli che parlano. Però io laudarei che l'omooltre al fuggir molte paroleantiche toscanesi assicurasse ancor d'usaree scrivendo e parlandoquelleche oggidí sono in consuetudine in Toscana e negli altri lochi della Italiaeche hanno qualche grazia nella pronuncia. E parmi che chi s'impone altra leggenon sia ben sicuro di non incorrere in quella affettazione tanto biasimatadella qual dianzi dicevamo -.

XXX.

Allora messer Federico- Signor Conte- disse- io nonposso negarvi che la scrittura non sia un modo di parlare. Dico ben chese leparole che si dicono hanno in sé qualche oscuritàquel ragionamento nonpenetra nell'animo di chi ode e passando senza esser intesodiventa vano; ilche non interviene nello scrivereché se le parole che usa il scrittore portanseco un poconon dirò di difficultàma d'acutezza reconditae non cosínota come quelle che si dicono parlando ordinariamentedanno una certa maggiorautorità alla scrittura e fanno che 'l lettore va piú ritenuto e sopra di sée meglio considera e si diletta dello ingegno e dottrina di chi scrive; e colbon giudicio affaticandosi un pocogusta quel piacere che s'ha nel conseguir lecose difficili. E se la ignoranzia di chi legge è tantache non possa superarquelle difficultànon è la colpa dello scrittorené per questo si deestimar che quella lingua non sia bella. Perònello scrivere credo io che siconvenga usar le parole toscane e solamente le usate dagli antichi Toscaniperché quello è gran testimonio ed approvato dal tempo che sian boneesignificative de quello perché si dicono; ed oltre a questo hanno quella graziae venerazion che l'antiquità presta non solamente alle parolema agli edificialle statuealle pitture e ad ogni cosa che è bastante a conservarla; e spessosolamente con quel splendore e dignità fanno la elocuzion belladalla virtúdella quale ed eleganzia ogni subiettoper basso che egli siapo esser tantoadornatoche merita somma laude. Ma questa vostra consuetudinedi cui voi fatetanto casoa me par molto pericolosa e spesso po esser mala; e se qualche viciodi parlar si ritrova esser invalso in molti ignorantinon per questo parmi chesi debba pigliar per una regula ed esser dagli altri seguitato. Oltre a questole consuetudini sono molto variené è città nobile in Italia che non abbiadiversa maniera di parlar da tutte l'altre. Però non vi ristringendo voi adechiarir qual sia la megliorepotrebbe l'omo attaccarse alla bergamasca cosícome alla fiorentinae secondo voi non sarebbe error alcuno. Parmi adunque chea chi vol fuggir ogni dubbioed esser ben sicurosia necessario proporsi adimitar unoil quale di consentimento di tutti sia estimato bonoed averlosempre per guida e scudo contra chi volesse riprendere; e questo (nel vulgardico) non penso che abbia da esser altro che il Petrarca e 'l Boccaccio; e chida questi dui si discosta va tentonicome chi camina per le tenebre senza lumee però spesso erra la strada. Ma noi altri siamo tanto arditiche non degnamodi far quello che hanno fatto i boni antichicioè attendere alla imitazionesenza la quale estimo io che non si possa scriver bene. E gran testinionio diquesto parmi che ci dimostri Virgilio; il qualebenché con quello ingegno egiudicio tanto divino togliesse la speranza a tutti i posteri che alcun maipotesse ben imitar luivolse però imitar Omero -.

XXXI.

Allora il signor Gaspar Pallavicino- Questa disputazion-disse- dello scrivere in vero è ben degna d'esser udita; nientedimeno piúfarebbe al proposito nostrose voi c'insegnaste di che modo debba parlar ilcortegianoperché parmi che n'abbia maggior bisogno e piú spesso gli occorrail servirsi del parlare che dello scrivere -. Rispose il Magnifico: - Anzi acortegian tanto eccellente e cosí perfetto non è dubbio che l'uno e l'altro ènecessario a saperee che senza queste due condizioni forse tutte l'altresariano non molto degne di laude; peròse il Conte vorrà satisfare al debitosuoinsegnerà al cortegiano non solamente il parlarema ancor il scriver bene-. Allor il Conte- Signor Magnifico- disse- questa impresa non accettaròio giàché gran sciocchezza saria la mia voler insegnare ad altri quello cheio non so; equando ancor lo sapessipensar di poter fare in cosí pocheparole quelloche con tanto studio e fatica hanno fatto a pena ominidottissimiai scritti de' quali rimetterei il nostro cortegianose pur fossiobligato d'insegnargli a scrivere e parlare -. Disse messer Cesare: - Il signorMagnifico intende del parlare e scriver vulgaree non latino; però quellescritture degli omini dotti non sono al proposito nostro; ma bisogna che voidiciate circa questo ciò che ne sapeteché del resto v'averemo per escusato.- Io già l'ho detto- rispose il Conte; - maparlandosi della lingua toscanaforse piú saria debito del signor Magnifico che d'alcun altro il darne lasentenzia -. Disse il Magnifico: - Io non posso né debbo ragionevolmentecontradir a chi dice che la lingua toscana sia piú bella dell'altre. È benvero che molte parole si ritrovano nel Petrarca e nel Boccaccioche or soninterlassate dalla consuetudine d'oggidí; e queste ioper menon usarei mainé parlando né scrivendo; e credo che essi ancorse insin a qui vivutifosseronon le usarebbono piú -. Disse allor messer Federico: - Anzi leusarebbono; e voi altrisignori Toscanidovreste rinovar la vostra lingua enon lassarla perirecome fate; ché ormai si po dire che minor notizia se n’abbiain Fiorenzache in molti altri lochi della Italia -. Rispose allor messerBernardo: - Queste parole che non s'usano piú in Fiorenza sono restate ne'contadini ecome corrotte e guaste dalla vecchiezzasono dai nobili rifiutate-.

XXXII.

Allora la signora Duchessa- Non usciam- disse- delprimo proposito e facciam che 'l conte Ludovico insegni al cortegiano il parlaree scriver benee sia o toscano o come si voglia -. Rispose il Conte: - Io giàSignoraho detto quello che ne so; e tengo che le medesime reguleche servenoad insegnar l'unoservano ancor ad insegnar l'altro. Ma poiché mel commandaterisponderò quello che m'occorre a messer Federicoil quale ha diverso parerdal mio; e forse mi bisognerà ragionar un poco più diffusamente che non siconviene; ma questo sarà quanto io posso dire. E primamente dico chesecondoil mio giudicioquesta nostra linguache noi chiamiamo vulgareè ancortenera e novabenché già gran tempo si costumi; perchéper essere stata laItalia non solamente vessata e depredatama lungamente abitata da' barbariperlo commerzio di quelle nazioni la lingua latina s'è corrotta e guastae daquella corruzione son nate altre lingue; le quaicome i fiumi che dalla cimadell'Appennino fanno divorzio e scorrono nei dui maricosí si son esse ancordivise ed alcune tinte di latinità pervenute per diversi camini qual ad unaparte e quale ad altraed una tinta di barbarie rimasta in Italia. Questaadunque è stata tra noi lungamente incomposta e variaper non aver avuto chile abbia posto curané in essa scrittoné cercato di darle splendor o graziaalcuna; pur è poi stata alquanto più culta in Toscanache negli altri lochidella Italia; e per questo par che 'l suo fiore insino da que' primi tempi quisia rimasoper aver servato quella nazion gentil accenti nella pronunzia edordine grammaticale in quello che si convienpiú che l'altre; ed aver avutitre nobili scrittorii quali ingeniosamente e con quelle parole e termini cheusava la consuetudine de' loro tempi hanno espresso i lor concetti; il che piúfelicemente che agli altrial parer mioè successo al Petrarca nelle coseamorose. Nascendo poi di tempo in temponon solamente in Toscana ma in tutta laItaliatra gli omini nobili e versati nelle corti e nell'arme e nelle letterequalche studio di parlare e scrivere piú elegantementeche non si faceva inquella prima età rozza ed incultaquando lo incendio delle calamità nate da'barbari non era ancor sedatosonsi lassate molte parolecosí nella cittàpropria di Fiorenza ed in tutta la Toscanacome nel resto della Italiaed inloco di quelle riprese dell'altree fattosi in questo quella mutazion che si fain tutte le cose umane; il che è intervenuto sempre ancor delle altre lingue.Ché se quelle prime scritture antiche latine fossero durate insino ad oravederemmo che altramente parlavano Evandro e Turno e gli altri Latini di que'tempiche non fecero poi gli ultimi re romani e i primi consuli. Eccovi che iversi che cantavano i Salii a pena erano dai posteri intesi; maessendo di quelmodo dai primi institutori ordinatinon si mutavano per riverenzia dellareligione. Cosí successivamente gli oratori e i poeti andarono lassando molteparole usate dai loro antecessori; ché AntonioCrassoOrtensioCiceronefuggivano molte di quelle di Catone e Virgilio molte d'Ennio; e cosí fecero glialtri; cheancor che avessero riverenzia all'antiquitànon la estimavan peròtantoche volessero averle quella obligazion che voi volete che ora le abbiamnoi; anzidove lor pareala biasmavano: come Orazioche dice che i suoiantichi aveano scioccamente laudato Plauto e vol poter acquistare nove parole. ECicerone in molti lochi riprende molti suoi antecessori; e per biasmare SergioGalba afferma che le orazioni sue aveano dell'antico; e dice che Ennio ancorsprezzò in alcune cose i suoi antecessoridi modo chese noi vorremo imitargli antichinon gli imitaremo. E Virgilioche voi dite che imitò Omerononlo imitò nella lingua.

XXXIII.

Io adunque queste parole antichequanto per mefuggireisempre di usareeccetto però che in certi lochied in questi ancor rarevolte; e parmi che chi altrimente le usa faccia errorenon meno che chivolesseper imitar gli antichinutrirsi ancora di ghiandeessendosi giàtrovata copia di grano. E perché voi dite che le parole antiche solamente conquel splendore d'antichitá adornan tanto ogni subiettoper basso ch'egli siache possono farlo degno di molta laudeio dico che non solamente di questeparole antichema né ancor delle bone faccio tanto casoch'estimi debbanosenza 'l suco delle belle sentenzie esser prezzate ragionevolmente perché ildivider le sentenzie dalle parole è un divider l'anima dal corpo: la qual cosané nell'uno né nell'altro senza distruzione far si po. Quello adunque cheprincipalmente importa ed è necessario al cortegiano per parlare e scriverbeneestimo io che sia il sapere; perché chi non sa e nell'animo non ha cosache meriti esser intesanon po né dirla né scriverla. Appresso bisogna disporcon bell'ordine quello che si ha a dire o scrivere; poi esprimerlo ben con leparole: le qualis'io non m'ingannodebbono esser proprieelettesplendide eben compostema sopra tutto usate ancor dal populo; perché quelle medesimefanno la grandezza e pompa dell'orazionese colui che parla ha bon giudicio ediligenzia e sa pigliar le piú significative di ciò che vol direedinalzarlee come cera formandole ad arbitrio suo collocarle in tal parte e contal ordine. che al primo aspetto mostrino e faccian conoscer la dignità esplendor suocome tavole di pittura poste al suo bono e natural lume. E questocosí dico dello scriverecome del parlare; al qual però si richiedono alcunecose che non son necessarie nello scrivere: come la voce bonanon tropposottile o molle come di feminané ancor tanto austera ed orrida che abbia delrusticoma sonorachiarasoave e ben compostacon la pronunzia espedita ecoi modi e gesti convenienti; li qualial parer mioconsistono in certimovimenti di tutto 'l corponon affettati né violentima temperati con unvolto accommodato e con un mover d'occhi che dia grazia e s'accordi con leparolee piú che si po significhi ancor coi gesti la intenzione ed affetto dicolui che parla. Ma tutte queste cose sarian vane e di poco momento se lesentenzie espresse dalle parole non fossero belleingenioseacuteeleganti egravisecondo 'l bisogno -.

XXXIV.

- Dubito- disse allora il signor Morello- che se questocortegiano parlerà con tanta eleganzia e gravitàfra noi si trovaranno diquei che non lo intenderanno. - Anzi da ognuno sarà inteso- rispose il Conte- perché la facilità non impedisce la eleganzia. Né io voglio che egli parlisempre in gravitàma di cose piacevolidi giochidi motti e di burlesecondo il tempo; del tutto però sensatamente e con prontezza e copia nonconfusa; né mostri in parte alcuna vanità o sciocchezza puerile. E quando poiparlerà di cosa oscura o difficilevoglio che e con le parole e con lesentenzie ben distinte esplichi sottilmente la intenzion suaed ogni ambiguitàfaccia chiara e piana con un certo modo diligente senza molestia. Medesimamentedove occorreràsappia parlar con dignità e veemenziae concitar quegliaffetti che hanno in sé gli animi nostried accenderli o moverli secondo ilbisogno; talor con una simplicità di quel candoreche fa parer che la naturaistessa parliintenerirgli e quasi inebbriargli di dolcezzae con talfacilitàche chi ode estimi ch'egli ancor con pochissima fatica potrebbeconseguir quel gradoe quando ne fa la prova si gli trovi lontanissimo. Iovorrei che 'l nostro cortegiano parlasse e scrivesse in tal manierae nonsolamente pigliasse parole splendide ed eleganti d'ogni parte della Italiamaancora laudarei che talor usasse alcuni di quelli termini e franzesi e spagnoliche già sono dalla consuetudine nostra accettati. Però a me non dispiacerebbecheoccorrendoglidicesse primordicesse accertareavventurare;dicesse ripassare una persona con ragionamentovolendo intenderericonoscerla e trattarla per averne perfetta notizia; dicesse un cavaliersenza rimproccioattillatocreato d'un principe ed altritali terminipur che sperasse esser inteso. Talor vorrei che pigliasse alcuneparole in altra significazione che la lor propria etraportandole a propositoquasi le inserisse come rampollo d'albero in piú felice troncoper farle piúvaghe e bellee quasi per accostar le cose al senso degli occhi proprii ecomesi dicefarle toccar con manocon diletto di chi ode o legge. Né vorrei chetemesse di formarne ancor di nove e con nove figure di dirededucendole con belmodo dai Latinicome già i Latini le deducevano dai Greci.

XXXV.

Se adunque degli omini litterati e di bon ingegno e giudicioche oggidí tra noi si ritrovanofossero alcunili quali ponessimo cura discrivere del modo che s'è detto in questa lingua cose degne d'esser lettetosto la vederessimo culta ed abundante de termini e belle figuree capace chein essa si scrivesse cosí bene come in qualsivoglia altra; e se ella non fossepura toscana anticasarebbe italianacommunecopiosa e variae quasi come undelicioso giardino pien di diversi fiori e frutti. Né sarebbe questo cosa nova;perché delle quattro lingue che aveano in consuetudinei scrittori grecielegendo da ciascuna parolemodi e figurecome ben loro venivane facevanonascere un'altra che si diceva communee tutte cinque poi sotto un solo nomechiamavano lingua greca; e benché la ateniese fosse elegantepura e facundapiú che l'altrei boni scrittori che non erano di nazion ateniesinon laaffettavan tantoche nel modo dello scrivere e quasi all'odor e proprietà delsuo natural parlare non fossero conosciuti; né per questo però eranosprezzati; anzi quei che volevan parer troppo ateniesine rapportavan biasimo.Tra i scrittori latini ancor furono in prezzo a' suoi dí molti non romanibenché in essi non si vedesse quella purità propria della lingua romanacherare volte possono acquistar quei che son d'altra nazione. Già non fu rifutatoTito Livioancora che colui dicesse aver trovato in esso la patavinitànéVirgilioper esser stato ripreso che non parlava romano; ecome sapetefuronoancor letti ed estimati in Roma molti scrittori di nazione barbari. Ma noimolto piú severi che gli antichiimponemo a noi stessi certe nove leggi fuordi propositoed avendo inanzi agli occhi le strade battutecerchiamo anelarper diverticuli; perché nella nostra lingua propriadella qualecome di tuttel'altrel'officio è esprimer bene e chiaramente i concetti dell'animocidilettiamo della oscurità echiamandola lingua vulgarevolemo in essa usarparole che non solamente non son dal vulgoma né ancor dagli omini nobili elitterati intesené piú si usano in parte alcuna; senza aver rispetto chetutti i boni antichi biasmano le parole rifutate dalla consuetudine. La qualvoial parer mionon conoscete bene; perché dite chese qualche vicio diparlare è invalso in molti ignoranti non per questo si dee chiamarconsuetudinené esser accettato per una regula di parlare; esecondo chealtre volte vi ho udito direvolete poi che in loco de Capitolio si dicaCampidoglio; per IeronimoGirolamo; aldace per audace;e per patronepadroneed altre tai parole corrotte e guasteperché cosí si trovan scritte da qualche antico Toscano ignorante e perchécosí dicono oggidí i contadini toscani. La bona consuetudine adunque delparlare credo io che nasca dagli omini che hanno ingegno e che con la dottrinaed esperienzia s'hanno guadagnato il bon giudicioe con quello concorrono econsentono ad accettar le parole che lor paion bonele quali si conoscono perun certo giudicio naturale e non per arte o regula alcuna. Non sapete voi che lefigure del parlarele quai dànno tanta grazia e splendor alla orazionetuttesono abusioni dalle regule grammaticali ma accettate e confirmate dalla usanzaperchésenza poterne render altra ragionepiaceno ed al senso propriodell'orecchia par che portino suavità e dolcezza? E questa credo io che sia labona consuetudine; della quale cosí possono essere capaci i RomaniiNapoletanii Lombardi e gli altricome i Toscani.

XXXVI.

È ben vero che in ogni lingua alcune cose sono sempre bonecome la facilitàil bell'ordinel'abundanziale belle sentenziele clausulenumerose; eper contrariol'affettazione e l'altre cose opposite a queste sonmale. Ma delle parole son alcune che durano bone un tempopoi s'invecchiano edin tutto perdono la grazia; altre piglian forza e vengono in prezzo perchécome le stagioni dell'anno spogliano de' fiori e de' frutti la terra e poi dinovo d'altri la rivestenocosí il tempo quelle prime parole fa cadere e l'usoaltre di novo fa rinascere e dà lor grazia e dignitàfin chedall'invidiosomorso del tempo a poco a poco consumategiungono poi esse ancora alla lormorte; perciò cheal finee noi ed ogni nostra cosa è mortale. Considerateche della lingua osca non avemo piú notizia alcuna. La provenzaleche pur mosi po direra celebrata da nobili scrittoriora dagli abitanti di quel paesenon è intesa. Penso io adunquecome ben ha detto il signor Magnificoche se'l Petrarca e 'l Boccaccio fossero vivi a questo temponon usariano molteparole che vedemo ne' loro scritti: però non mi par bene che noi quelleimitiamo. Laudo ben sommamente coloro che sanno imitar quello che si deeimitare; nientedimeno non credo io già che sia impossibile scriver bene ancorsenza imitare; e massimamente in questa nostra linguanella quale possiam esserdalla consuetudine aiutati; il che non ardirei dir nella latina -.

XXXVII.

Allor messer Federico- Perché volete voi- disse- chepiú s'estimi la consuetudine nella vulgare che nella latina? - Anzidell'una edell'altra- rispose il Conte- estimo che la consuetudine sia la maestra. Maperché quegli ominiai quali la lingua latina era cosí propria come or è anoi la vulgarenon sono piú al mondobisogna che noi dalle lor scrittureimpariamo quelloche essi aveano imparato dalla consuetudine; né altro vol diril parlar antico che la consuetudine antica di parlare; e sciocca cosa sarebbeamar il parlar antico non per altroche per voler piú presto parlare come siparlavache come si parla. - Dunque- rispose messer Federico- gli antichinon imitavano? - Credo- disse il Conte- che molti imitavanoma non in ognicosa. E se Virgilio avesse in tutto imitato Esiodonon gli sería passatoinnanzi; né Cicerone a Crassoné Ennio ai suoi antecessori. Eccovi che Omeroè tanto anticoche da molti si crede che egli cosí sia il primo poeta eroicodi tempocome ancor è d'eccellenzia di dire; e chi vorrete voi che egliimitasse? - Un altro- rispose messer Federico- piú antico di luidel qualenon avemmo notizia per la troppo antiquità. - Chi direte adunque- disse ilConte- che imitasse il Petrarca e 'l Boccaccioche pur tre giorni hasi podirche son stati al mondo? - Io nol so- rispose messer Federico; ma credersi po che essi ancor avessero l'animo indrizzato alla imitazionebenché noinon sappiam di cui -. Rispose il Conte: - Creder si po che que' che eranoimitati fossero migliori che que' che imitavano; e troppo maraviglia saria checosí presto il lor nome e la famase eran bonifosse in tutto spenta. Ma illor vero maestro cred'io che fosse l'ingegno ed il lor proprio giudicionaturale; e di questo niuno è che si debba maravigliareperché quasi sempreper diverse vie si po tendere alla sommità d'ogni eccellenzia. Né è naturaalcuna che non abbia in sé molte cose della medesima sorte dissimili l'undall'altrale quali però son tra sé di equal laude degne. Vedete la musicale armonie della quale or son gravi e tardeor velocissime e di novi modi evie; nientedimeno tutte dilettanoma per diverse causecome si comprende nellamaniera del cantare di Bidonla qual è tanto artificiosaprontaveementeconcitata e de cosí varie melodieche i spirti di chi ode tutti si commoveno es'infiammano e cosí sospesi par che si levino insino al cielo. Né men commovenel suo cantar il nostro Marchetto Carama con piú molle armonia; ché per unavia placida e piena di flebile dolcezza intenerisce e penetra le animeimprimendo in esse soavemente una dilettevole passione. Varie cose ancoregualmente piacciono agli occhi nostritanto che con difficultà giudicar si poquai piú lor sian grate. Eccovi che nella pittura sono eccellentissimi LeonardoVincioil MantegnaRafaelloMichel AngeloGeorgio da Castel Franco;nientedimenotutti son tra sé nel far dissimilidi modo che ad alcun di loronon par che manchi cosa alcuna in quella manieraperché si conosce ciascun nelsuo stilo esser perfettissimo. Il medesimo è di molti poeti greci e latiniiqualidiversi nello scriveresono pari nella laude. Gli oratori ancor hannoavuto sempre tanta diversità tra séche quasi ogni età ha produtto edapprezzato una sorte d'oratori peculiar di quel tempo; i quali non solamente daiprecessori e successori suoima tra sé son stati dissimilicome si scrive ne'Greci di IsocrateLisiaEschine e molt'altritutti eccellentima a niunperò simili forche a se stessi. Tra i Latini poi quel CarboneLelioScipioneAffricanoGalbaSulpizioCottaGraccoMarc'AntonioCrasso e tanti chesaria lungo nominaretutti boni e l'un dall'altro diversissimi; di modo che chipotesse considerar tutti gli oratori che son stati al mondoquanti oratoritante sorti di dire trovarebbe. Parmi ancor ricordare che Cicerone in un locointroduca Marc'Antonio dir a Sulpizio che molti sono i quali non imitano alcunoe nientedimeno pervengono al sommo grado della eccellenzia; e parla di certiiquali aveano introdutto una nova forma e figura di direbellama inusitataagli altri oratori di quel temponella quale non imitavano se non se stessi;però afferma ancor che i maestri debbano considerar la natura dei discipuli equella tenendo per guidaindrizzargli ed aiutargli alla viache lo ingegnoloro e la natural disposizion gli inclina. Per questo adunquemesser Federicomiocredose l'omo da sé non ha convenienzia con qualsivoglia autorenon siaben sforzarlo a quella imitazione; perché la virtú di quell'ingegno s'ammorzae resta impeditaper esser deviata dalla strada nella quale avrebbe fattoprofittose non le fosse stata precisa. Non so adunque come sia benein locod'arricchir questa lingua e darle spiritograndezza e lumefarla poveraesileumile ed oscura e cercare di metterla in tante angustieche ognuno siasforzato ad imitare solamente il Petrarca e 'l Boccaccio; e che nella lingua nonsi debba ancor credere al Policianoa Lorenzo de' Medicia Francesco Diaceto ead alcuni altri che pur son toscanie forse di non minor dottrina e giudicioche si fosse il Petrarca e 'l Boccaccio. E veramente gran miseria saria metterfine e non passar piú avanti di quello che si abbia fatto quasi il primo che hascrittoe disperarsi che tanti e cosí nobili ingegni possano mai trovar piúche una forma bella di dire in quella linguache ad essi è propria e naturale.Ma oggidí son certi scrupolosii qualiquasi con una religion e misteriiineffabili di questa lor lingua toscanaspaventano di modo chi gli ascoltacheinducono ancor molti omini nobili e litterati in tanta timiditàche non osanoaprir la bocca e confessano di non saper parlar quella linguache hannoimparata dalle nutrici insino nelle fasce. Ma di questo parmi che abbiam dettopur troppo; però seguitiamo ormai il ragionamento del cortegiano -.

XXXVIII.

Allora messer Federico rispose: lo voglio pur ancor dirquesto poco: che è ch'io già non niego che le opinioni e gli ingegni degliomini non siano diversi tra séné credo che ben fosse che unoda naturaveemente e concitatosi mettesse a scrivere cose placidené meno un altrosevero e gravea scrivere piacevolezze: perché in questo parmi ragionevole cheognuno s'accomodi allo instinto suo proprio. E di ciòcredoparlava Ciceronequando disse che i maestri avessero riguardo alla natura dei discipuli per nonfare come i mal agricultoriche talor nel terreno che solamente è fruttiferoper le vigne vogliano seminar grano. Ma a me non po caper nella testa che d'unalingua particularela quale non è a tutti gli omini cosí propria come idiscorsi ed i pensieri e molte altre operazionima una invenzione contenutasotto certi termininon sia piú ragionevole imitar quelli che parlan meglioche parlare a caso e checosí come nel latino l'omo si dee sforzar diassimigliarsi alla lingua di Virgilio e di Ciceronepiú tosto che a quella diSilio o di Cornelio Tacitocosí nel vulgar non sia meglio imitar quella delPetrarca e del Boccaccioche d'alcun altro; ma ben in essa esprimere i suoiproprii concetti ed in questo attenderecome insegna Ciceroneallo instintosuo naturale; e cosí si troverà che quella differenzia che voi dite essere trai boni oratoriconsiste nei sensi e non nella lingua -. Allor il Conte-Dubito- disse- che noi entraremo in un gran pelago e lassaremo il nostroprimo proposito del cortegiano. Pur domando a voi: in che consiste la bontà diquesta lingua? Rispose messer Federico: - Nel servar ben le proprietà di essa etórla in quella significazioneusando quello stile e que' numeri che hannofatto tutti quei che hanno scritto bene. - Vorrei- disse il Conte- sapere sequesto stile e questi numeri di che voi parlatenascano dalle sentenzie o dalleparole. Dalle parole- rispose messer Federico. - Adunque- disse il Conte-a voi non par che le parole di Silio e di Cornelio Tacito siano quelle medesimeche usa Virgilio e Ciceronené tolte nella medesima significazione? - Risposemesser Federico: - Le medesime son síma alcune mal osservate e toltediversamente -. Rispose il Conte: - E se d'un libro di Cornelio e d'un di Siliosi levassero tutte quelle parole che son poste in altra significazion di quelloche fa Virgilio e Ciceroneche seriano pochissimenon direste voi poi cheCornelio nella lingua fosse pare a Ciceronee Silio a Virgilio? e che ben fosseimitar quella maniera del dire?

XXXIX.

Allor la signora Emilia- A me par- disse- che questavostra disputa sia mo troppo lunga e fastidiosa; però fia bene a differirla adun altro tempo -. Messer Federico pur incominciava a rispondere; ma sempre lasignora Emilia lo interrompeva. In ultimo disse il Conte: - Molti voglionogiudicare i stili e parlar de' numeri e della imitazione; ma a me non sanno giàessi dare ad intendere che cosa sia stile né numeroné in che consista laimitazionené perché le cose tolte da Omero o da qualche altro stiano tantobene in Virgilioche piú presto paiano illustrate che imitate; e ciò forseprocede ch'io non son capace d'intendergli. Ma perché grande argumento che l'omsappia una cosa è il saperla insegnaredubito che essi ancora poco laintendano; e che e Virgilio e Cicerone laudino perché sentono che da molti sonlaudatinon perché conoscano la differenzia che è tra essi e gli altri; chéin vero non consiste in avere una osservazione di duedi tre o di dieci paroleusate a modo diverso dagli altri. In Salustioin Cesarein Varrone e neglialtri boni si trovano usati alcuni termini diversamente da quello che usaCicerone; e pur l'uno e l'altro sta beneperché in cosí frivola cosa non èposta la bontà e forza d'una linguacome ben disse Demostene ad Eschinechelo mordevadomandandogli d'alcune parole le quali egli aveva usatee pur nonerano attichese erano monstri o portenti; e Demostene se ne risee risposegliche in questo non consistevano le fortune di Grecia. Cosí io ancora poco micurareise da un toscano fossi ripreso d'aver detto piú tosto satisfattoche sodisfattoed onorevole che orrevolee causache cagionee populo che popoloed altre tai cose -.Allor messer Federico si levò in piè e disse: - Ascoltatemipregoquestepoche parole -. Rispose ridendo la signora Emilia: - Pena la disgrazia mia aqual di voi per ora parla piú di questa materiaperché voglio che larimettiamo ad un'altra sera. Ma voiConteseguitate il ragionamento delcortegiano; e mostrateci come avete bona memoriachécredose sapreteritaccarlo ove lo lassastenon farete poco -.

XL.

- Signora- rispose il Conte- il filo mi par tronco: purs'io non m'ingannocredo che dicevamo che somma disgrazia a tutte le cose dàsempre la pestifera affettazione e per contrario grazia estrema la simplicità ela sprezzatura; a laude della quale e biasmo della affettazione molte altre coseragionar si potrebbono; ma io una sola ancor dir ne voglioe non piú. Grandesiderio universalmente tengon tutte le donne di essere equando esser nonpossonoalmen di parer belle; peròdove la natura in qualche parte in questoè mancataesse si sforzano di supplir con l'artificio. Quindi nascel'acconciarsi la faccia con tanto studio e talor penapelarsi le ciglia e lafronteed usar tutti que' modi e patire que' fastidiche voi altre donnecredete che agli omini siano molto secretie pur tutti si sanno -. Rise quiviMadonna Costanza Fregosa e disse: - Voi fareste assai piú cortesemente seguitaril ragionamento vostro e dir onde nasca la bona grazia e parlar dellacortegianiache voler scoprir i diffetti delle donne senza proposito. - Anzimolto a proposito- rispose il Conte; - perché questi vostri diffetti di cheio parlo vi levano la graziaperché d'altro non nascono che da affettazioneper la qual fate conoscere ad ognuno scopertamente il troppo desiderio vostrod'esser belle. Non vi accorgete voiquanto piú di grazia tenga una donnalaqualse pur si acconcialo fa cosí parcamente e cosí pocoche chi la vedesta in dubbio s'ella è concia o noche un'altraempiastrata tantoche paiaaversi posto alla faccia una mascherae non osi ridere per non farsela creparené si muti mai di colore se non quando la mattina si veste; e poi tutto ilremanente del giorno stia come statua di legno immobilecomparendo solamente alume di torze ocome mostrano i cauti mercatanti i lor panniin loco oscuro?Quanto piú poi di tutte piace unadiconon bruttache si conosca chiaramentenon aver cosa alcuna in su la facciabenché non sia cosí bianca né cosírossama col suo color nativo pallidetta e talor per vergogna o per altroaccidente tinta d'un ingenuo rossorecoi capelli a caso inornati e mal compostie coi gesti simplici e naturalisenza mostrar industria né studio d'esserbella? Questa è quella sprezzata purità gratissima agli occhi ed agli animiumanii quali sempre temono essere dall'arte ingannati. Piacciono molto in unadonna i bei dentiperché non essendo cosí scoperti come la facciama per lopiú del tempo stando nascosicreder si po che non vi si ponga tanta cura perfargli bellicome nel volto; pur chi ridesse senza proposito e solamente permostrargliscopriria l'arte ebenché belli gli avessea tutti pareriadisgraziatissimocome lo Egnazio catulliano. Il medesimo è delle mani; lequalise delicate e belle sonomostrate ignude a temposecondo che occorreoperarlee non per far veder la lor bellezzalasciano di sé grandissimodesiderio e massimamente revestite di guanti; perché par che chi le ricopre noncuri e non estimi molto che siano vedute o noma cosí belle le abbia piú pernatura che per studio o diligenzia alcuna. Avete voi posto cura talorquandooper le strade andando alle chiese o ad altro locoo giocando o per altra causaaccade che una donna tanto della robba si levache il piede e spesso un poco digambetta senza pensarvi mostra? non vi pare che grandissima grazia tengase ivisi vede con una certa donnesca disposizione leggiadra ed attillata nei suoichiapinetti di vellutoe calze polite? Certo a me piace egli molto e credo atutti voi altriperché ognun estima che la attillatura in parte cosí nascosae rare volte vedutasia a quella donna piú tosto naturale e propria chesforzatae che ella di ciò non pensi acquistar laude alcuna.

XLI.

In tal modo si fugge e nasconde l'affettazionela qual orpotete comprender quanto sia contrariae levi la grazia d'ogni operazion cosídel corpo come dell'animo; del quale per ancor poco avemo parlatoné bisognaperò lasciarlo; ché sí come l'animo piú degno è assai che 'l corpocosíancor merita esser piú culto e piú ornato. E ciò come far si debba nel nostrocortegianolasciando li precetti di tanti savi fìlosofiche di questa materiascrivono e diffiniscono le virtú dell'animo e cosí sottilmente disputano delladignità di quellediremo in poche paroleattendendo al nostro propositobastar che egli siacome si diceomo da bene ed intieroché in questo sicomprende la prudenziabontàfortezza e temperanzia d'animo e tutte l'altrecondizioni che a cosí onorato nome si convengono. Ed io estimo quel solo esservero filosofo moraleche vol esser bono; ed a ciò gli bisognano pochi altriprecettiche tal voluntà. E però ben dicea Socrate parergli che gliammaestramenti suoi già avessino fatto bon fruttoquando per quelli chi sifosse si incitava a voler conoscer ed imparar la virtú; perché quelli che songiunti a termine che non desiderano cosa alcuna piú che l'essere bonifacilmente conseguono la scienzia di tutto quello che a ciò bisogna; però diquesto non ragionaremo piú avanti.

XLII.

Maoltre alla bontàil vero e principal ornamentodell'animo in ciascuno penso io che siano le letterebenché i Franzesisolamente conoscano la nobilità delle arme e tutto il resto nulla estimino; dimodo che non solamente non apprezzano le letterema le aborrisconoe tutti elitterati tengon per vilissimi omini; e pare lor dir gran villania a chi si siaquando lo chiamano clero-. Allora il Magnifico Iuliano- Voi dite il verorispose- che questo errore già gran tempo regna tra' Franzesi; ma se la bonasorte vole che monsignor d'Angolemcome si sperasucceda alla coronaestimoche sí come la gloria dell'arme fiorisce e risplende in Franciacosí vi debbaancor con supremo ornamento fiorir quella delle lettere; perché non è moltoch'ioritrovandomi alla cortevidi questo signore e parvemi cheoltre alladisposizion della persona e bellezza di voltoavesse nell'aspetto tantagrandezzacongiunta però con una certa graziosa umanitàche 'l reame diFrancia gli dovesse sempre parer poco. Intesi da poi da molti gentilominiefranzesi ed italianiassai dei nobilissimi costumi suoidella grandezzadell'animodel valore e della liberalità; e tra l'altre cose fummi detto cheegli sommamente amava ed estimava le lettere ed avea in grandissima osservanziatutti e litterati; e dannava i Franzesi proprii dell'esser tanto alieni daquesta professioneavendo massimamente in casa un cosí nobil studio come èquello di Parigidove tutto il mondo concorre -. Disse allor il Conte: - Granmaraviglia è che in cosí tenera etàsolamente per instinto di naturacontral'usanza del paesesi sia da sé a sé volto a cosí bon camino; e perché isudditi sempre seguitano i costumi de' superiori po esser checome voi diteiFranzesi siano ancor per estimar le lettere di quella dignità che sono; il chefacilmentese vorranno intenderesi potrà lor persuadereperché niuna cosapiú da natura è desiderabile agli omini né piú propria che il sapere; laqual cosa gran pazzia è dire o credere che non sia sempre bona.

XLIII.

E s'io parlassi con essi o con altri che fosseno d'opinioncontraria alla miami sforzarei mostrar loro quanto le letterele qualiveramente da Dio son state agli omini concedute per un supremo donosiano utilie necessarie alla vita e dignità nostra; né mi mancheriano esempi di tantieccellenti capitani antichii quali tutti giunsero l'ornamento delle letterealla virtú dell'arme. Chécome sapeteAlessandro ebbe in tanta venerazioneOmeroche la Iliade sempre si teneva a capo del letto; e non solamente aquesti studima alle speculazioni filosofice diede grandissima opera sotto ladisciplina d'Aristotele. Alcibiade le bone condizioni sue accrebbe e fecemaggiori con le lettere e con gli ammaestramenti di Socrate. Cesare quanta operadesse ai studiancor fanno testimonio quelle cose che da esso divinamentescritte si ritrovano. Scipion Affricano dicesi che mai di mano non si levava ilibri di Senofontedove instituisce sotto 'l nome di Ciro un perfetto re.Potrei dirvi di Lucullodi Silladi Pompeodi Bruto e di molt'altri Romani eGreci; ma solamente ricordarò che Annibaletanto eccellente capitanoma peròdi natura feroce ed alieno da ogni umanitàinfidele e despregiator degli ominie degli dèipur ebbe notizia di lettre e cognizion della lingua greca; es'ionon erroparmi aver letto già che esso un libro pur in lingua greca lasciò dasé composto. Ma questo dire a voi è superfluoché ben so io che tutticonoscete quanto s'ingannano i Francesi pensando che le lettre nuoccianoall'arme. Sapete che delle cose grandi ed arrischiate nella guerra il verostimulo è la gloria; e chi per guadagno o per altra causa a ciò si moveoltreche mai non fa cosa bonanon merita esser chiamato gentilomoma vilissimomercante. E che la vera gloria sia quella che si commenda al sacro tesauro dellelettreognuno po comprendereeccetto quegli infelici che gustate non l'hanno.Qual animo è cosí demessotimido ed umileche leggendo i fatti e legrandezze di Cesared'Alessandrodi Scipioned'Annibale e di tanti altrinons'infiammi d'un ardentissimo desiderio d'esser simile a quelli e non pospongaquesta vita caduca di dui giorni per acquistar quella famosa quasi perpetualaqualea dispetto della morteviver lo fa piú chiaro assai che prima? Ma chinon sente la dolcezza delle letteresaper ancor non po quanta sia la grandezzadella gloria cosí lungamente da esse conservatae solamente quella misura conla età d'un omoo di duiperché di piú oltre non tien memoria; però questabreve tanto estimar non poquanto faria quella quasi perpetuase per suadesgrazia non gli fosse vetato il conoscerla; e non estimandola tantoragionevol cosa è ancor credere che tanto non si metta a periculo perconseguirla come chi la conosce. Non vorrei già che qualche avversario miadducesse gli effetti contrari per rifiutar la mia opinioneallegandomi gliItaliani col lor saper lettere aver mostrato poco valor nell'arme da un tempo inquail che pur troppo è piú che vero; ma certo ben si poria dir la colpad'alcuni pochi aver datooltre al grave dannoperpetuo biasmo a tutti glialtrie la vera causa delle nostre ruine e della virtú prostratase nonmortanegli animi nostriesser da quelli proceduta; ma assai piú a noi sariavergognoso il publicarlache a' Franzesi il non saper lettere. Però meglio èpassar con silenzio quello che senza dolor ricordar non si po; efuggendoquesto propositonel quale contra mia voglia entrato sonotornar al nostrocortegiano.

XLIV.

Il qual voglio che nelle lettre sia piú che mediocrementeeruditoalmeno in questi studi che chiamano d'umanità; e non solamente dellalingua latinama ancor della greca abbia cognizioneper le molte e varie coseche in quella divinamente scritte sono. Sia versato nei poeti e non meno neglioratori ed istorici ed ancor esercitato nel scriver versi e prosamassimamentein questa nostra lingua vulgare; cheoltre al contento che egli stessopigliaràper questo mezzo non gli mancheran mai piacevoli intertenimenti condonnele quali per ordinario amano tali cose. E seo per altre facende o perpoco studionon giungerà a tal perfezione che i suoi scritti siano degni dimolta laudesia cauto in supprimergli per non far ridere altrui di séesolamente i mostri ad amico di chi fidar si possa; perché almeno in tanto ligiovarannoche per quella esercitazion saprà giudicar le cose altrui; cheinvero rare volte interviene che chi non è assueto a scrivereper erudito cheegli siapossa mai conoscer perfettamente le fatiche ed industrie de'scrittoriné gustar la dolcezza ed eccellenzia de' stilie quelle intrinsecheavvertenzie che spesso si trovano negli antichi. Ed oltre a ciòfarannoloquesti studi copioso ecome rispose Aristippo a quel tirannoardito in parlarsicuramente con ognuno. Voglio ben però che 'l nostro cortegiano fisso si tenganell'animo un precetto: cioè che in questo ed in ogni altra cosa sia sempreavvertito e timido piú presto che audacee guardi di non persuadersifalsamente di saper quello che non sa: perché da natura tutti siamo aviditroppo piú che non si devria di laudee piú amano le orecchie nostre lamelodia delle parole che ci laudanoche qualunque altro soavissimo canto osuono; e però spessocome voci di sirenesono causa di sommergere chi a talfallace armonia bene non se le ottura. Conoscendo questo pericolosi èritrovato tra gli antichi sapienti chi ha scritto libriin qual modo possal'omo conoscere il vero amico dall'adulatore. Ma questo che giovase moltianzi infiniti son quelli che manifestamente comprendono esser adulatie puramano chi gli adula ed hanno in odio chi dice lor il vero? e spessoparendogliche chi lauda sia troppo parco in direessi medesimi lo aiutano e di se stessidicono tali coseche lo impudentissimo adulator se ne vergogna? Lasciamo questiciechi nel lor errore e facciamo che 'l nostro cortegiano sia di cosí bongiudicioche non si lasci dar ad intendere il nero per lo bianconé presumadi sése non quanto ben chiaramente conosce esser vero; e massimamente inquelle coseche nel suo giocose ben avete a memoriamesser Cesare ricordòche noi piú volte avevamo usate per instrumento di far impazzir molti. Anziper non errarse ben conosce le laudi che date gli sono esser verenon leconsenta cosí apertamentené cosí senza contradizione le confermi; ma piútosto modestamente quasi le nieghimostrando sempre e tenendo in effetto persua principal professione l'arme e l'altre bone condizioni tutte per ornamentodi quelle; e massimamente tra i soldatiper non far come coloro che ne' studivoglion parere omini di guerra e tra gli omini di guerra litterati. In questomodoper le ragioni che avemo dettefuggirà l'affettazione e le cose mediocriche farà parranno grandissime -.

XLV.

Rispose quivi messer Pietro Bembo: - Io non soContecomevoi vogliate che questo cortegianoessendo litterato e con tante altre virtuosequalitàtenga ogni cosa per ornamento dell'armee non l'arme e 'l resto perornamento delle lettere; le quali senza altra compagnia tanto son di dignitàall'arme superioriquanto l'animo al corpoper appartenere propriamente laoperazion d'esse all'animocosí come quella delle arme al corpo -. Risposeallor il Conte: - Anzi all'animo ed al corpo appartiene la operazion dell'arme.Ma non vogliomesser Pietroche voi di tal causa siate giudiceperchésareste troppo suspetto ad una delle parti; ed essendo già stata questadisputazione lungamente agitata da omini sapientissiminon è bisognorinovarla; ma io la tengo per diffinita in favore dell'arme e voglio che 'lnostro cortegianopoich'io posso ad arbitrio mio formarloesso ancor cosí laestimi. E se voi sète di contrario pareraspettate d'udirne una disputazionnella qual cosí sia licito a chi diffende la ragion dell'arme operar l'armecome quelli che diffendon le lettre oprano in tal diffesa le medesime lettre;ché se ognuno si valerà de' suoi instrumentivedrete che i litteratiperderanno. - Ah- disse messer Pietro- voi dianzi avete dannati i Franzesiche poco apprezzan le lettre e detto quanto lume di gloria esse mostrano agliomini e come gli facciano immortali; ed or pare che abbiate mutata sentenzia.Non vi ricorda che

Giunto Alessandro alla famosa tomba

del fero Achillesospirando disse: -

O fortunatoche sí chiara tromba

trovasti e chi di te sí alto scrisse!.

E se Alessandro ebbe invidia ad Achille non de' suoi fattima della fortuna che prestato gli avea tanta felicità che le cose sue fossenocelebrate da Omerocomprender si po che estimasse piú le lettre d'Omerochel'arme d'Achille. Qual altro giudice adunqueo qual altra sentenzia aspettatevoi della dignità dell'arme e delle lettreche quella che fu data da un de'piú gran capitani che mai sia stato?

XLVI.

Rispose allora il Conte: - Io biasmo i Franzesi che estimanle lettre nuocere alla profession dell'arme e tengo che a niun piú si convengal'esser litterato che ad un om di guerra; e queste due condizioni concatenate el'una dall'altra aiutateil che è convenientissimovoglio che siano nelnostro cortegiano; né per questo parmi esser mutato d'opinione. Macome hodetto disputar non voglio qual d'esse sia piú degna di laude. Basta che ilitterati quasi mai non pigliano a laudare se non omini grandi e fatti gloriosii quali da sé meritano laude per la propria essenzial virtute donde nascono;oltre a ciò sono nobilissima materia dei scrittori; il che è grande ornamentoed in parte causa di perpetuare i scrittili quali forse non sariano tantoletti né apprezzati se mancasse loro il nobile suggettoma vani e di pocomomento. E se Alessandro ebbe invidia ad Achille per esser laudato da chi funon conchiude però questo che estimasse piú le lettre che l'arme; nelle qualise tanto si fosse conosciuto lontano da Achillecome nel scrivere estimava chedovessero esser da Omero tutti quelli che di lui fossero per scrivereson certoche molto prima averia desiderato il ben fare in sé che il ben dire in altri.Però questa credo io che fosse una tacita laude di se stesso ed un desiderarquello che aver non gli parevacioè la suprema eccellenzia d'uno scrittoreenon quello che già si prosumeva aver conseguitocioè la virtú dell'armenella quale non estimava che Achille punto gli fosse superiore; onde chiamollofortunatoquasi accennando chese la fama sua per lo inanzi non fosse tantocelebrata al mondo come quellache era per cosí divin poema chiara edillustrenon procedesse perché il valore ed i meriti non fossero tanti e ditanta laude degnima nascesse dalla fortunala quale avea parato inanti adAchille quel miraculo di natura per gloriosa tromba dell'opere sue; e forseancor volse eccitar qualche nobile ingegno a scrivere di sémostrando perquesto dovergli esser tanto gratoquanto amava e venerava i sacri monumentidelle lettrecirca le quali omai si è parlato a bastanza. - Anzi troppo-rispose il signor Ludovico Pio; - perché credo che al mondo non sia possibileritrovar un vaso tanto grandeche fosse capace di tutte le coseche voi voleteche stiano in questo cortegiano -. Allor il Conte- Aspettate un poco- disseche molte altre ancor ve ne hanno da essere -. Rispose Pietro da Napoli: - Aquesto modo il Grasso de' Medici averà gran vantaggio da messer Pietro Bembo -.

XLVII.

Rise quivi ognuno; e ricominciando il Conte- Signoridisse- avete a sapere ch'io non mi contento del cortegiano e s'egli non èancor musico e seoltre allo intendere ed esser sicuro a libronon sa di variiinstrumenti; perchése ben pensiamoniuno riposo de fatiche e medicinad'animi infermi ritrovar si po piú onesta e laudevole nell'ocioche questa; emassimamente nelle cortidoveoltre al refrigerio de' fastidi che ad ognuno lamusica prestamolte cose si fanno per satisfar alle donnegli animi dellequaliteneri e mollifacilmente sono dall'armonia penetrati e di dolcezzaripieni. Però non è maraviglia se nei tempi antichi e nei presenti sempre essestate sono a' musici inclinate ed hanno avuto questo per gratissimo cibo d'animo-. Allor il signor Gaspar- La musica penso- disse- che insieme con moltealtre vanità sia alle donne conveniente síe forse ancor ad alcuni che hannosimilitudine d'ominima non a quelli che veramente sono; i quali non deono condelicie effeminare gli animi ed indurgli in tal modo a temer la morte. - Nondite- rispose il Conte; - perch'io v'entrarò in un gran pelago di laude dellamusica; e ricordarò quanto sempre appresso gli antichi sia stata celebrata etenuta per cosa sacrae sia stato opinione di sapientissimi filosofi il mondoesser composto di musica e i cieli nel moversi far armoniae l'anima nostra purcon la medesima ragion esser formatae però destarsi e quasi vivificar le suevirtú per la musica. Per il che se scrive Alessandro alcuna volta esser statoda quella cosí ardentemente incitatoche quasi contra sua voglia gli bisognavalevarsi dai convivii e correre all'arme; poimutando il musico la sorte delsuonomitigarsi e tornar dall'arme ai convivii. E dirovvi il severo Socrategià vecchissimoaver imparato a sonare la citara. E ricordomi aver già intesoche Platone ed Aristotele vogliono che l'om bene instituito sia ancor musicoecon infinite ragioni mostrano la forza della musica in noi essere grandissimaeper molte causeche or saria lungo a dirdoversi necessariamente imparar dapuerizia; non tanto per quella superficial melodia che si sentema per essersufficiente ad indur in noi un novo abito bono ed un costume tendente allavirtúil qual fa l'animo piú capace di felicitàsecondo che lo eserciziocorporale fa il corpo piú gagliardo; e non solamente non nocere alle cosecivili e della guerrama loro giovar sommamente. Licurgo ancora nelle severesue leggi la musica approvò. E leggesi i Lacedemonii bellicosissimi ed iCretensi aver usato nelle battaglie citare ed altri instrumenti molli; e moltieccellentissimi capitani antichicome Epaminondaaver dato opera alla musica;e quelli che non ne sapeanocome Temistocleesser stati molto meno apprezzati.Non avete voi letto che delle prime discipline che insegnò il bon vecchioChirone nella tenera età ad Achilleil quale egli nutrí dallo latte e dallacullafu la musica; e volse il savio maestro che le maniche aveano a spargertanto sangue troianofossero spesso occupate nel suono della citara? Qualsoldato adunque sarà che si vergogni d'imitar Achillelasciando molti altrifamosi capitani ch'io potrei addurre? Però non vogliate voi privar il nostrocortegiano della musicala qual non solamente gli animi umani indolciscemaspesso le fiere fa diventar mansuete; e chi non la gusta si po tener per certoch'abbia i spiriti discordanti l'un dall'altro. Eccovi quanto essa poche giàtrasse un pesce a lassarsi cavalcar da un omo per mezzo il procelloso mare.Questa veggiamo operarsi ne' sacri tempii nello rendere laude e grazie a Dio; ecredibil cosa è che ella grata a lui sia ed egli a noi data l'abbia perdolcissimo alleviamento delle fatiche e fastidi nostri. Onde spesso i durilavoratori de' campi sotto l'ardente sole ingannano la lor noia col rozzo edagreste cantare. Con questo la inculta contadinellache inanzi al giorno afilare o a tessere si lievadal sonno si diffende e la sua fatica fa piacevole;questo è iocundissimo trastullo dopo le pioggei venti e le tempeste ai miserimarinari; con questo consolansi i stanchi peregrini dei noiosi e lunghi viaggi espesso gli afflitti prigionieri delle catene e ceppi. Cosíper maggioreargumento che d'ogni fatica e molestia umana la modulazionebenché incultasia grandissimo refrigeriopare che la natura alle nutrici insegnata l'abbiaper rimedio precipuo del pianto continuo de' teneri fanciulli; i quali al suondi tal voce s'inducono a riposato e placido sonnoscordandosi le lacrime cosìproprieed a noi per presagio dei rimanente della nostra vita in quella età danatura date -.

XLVIII.

Or quivi tacendo un poco il Contedisse il MagnificoIuliano: - Io non son già di parer conforme al signor Gaspar; anzi estimo perle ragioni che voi dite e per molte altre esser la musica non solamenteornamentoma necessaria al cortegiano. Vorrei ben che dechiaraste in qual modoquesta e l'altre qualità che voi gli assignate siano da esser operateed a chetempo e con che maniera; perché molte cose che da sé meritano laudespessocon l'operarle fuor di tempo diventano inettissime eper contrarioalcune chepaion di poco momentousandole benesono pregiate assai -.

XLIX.

Allora il Conte- Prima che a questo proposito entriamovoglio- disse- ragionar d'un'altra cosala quale ioperciò che di moltaimportanza la estimopenso che dal nostro cortegiano per alcun modo non debbaesser lasciata addietro: e questo è il saper disegnare ed aver cogniziondell'arte propria del dipingere. Né vi maravigliate s'io desidero questa partela qual oggidí forsi par mecanica e poco conveniente a gentilomo; chéricordomi aver letto che gli antichimassimamente per tutta Greciavoleano chei fanciulli nobili nelle scole alla pittura dessero opera come a cosa onesta enecessariae fu questa ricevuta nel primo grado dell'arti liberali; poi perpublico editto vetato che ai servi non s'insegnasse. Presso ai Romani ancors'ebbe in onor grandissimo; e da questa trasse il cognome la casa nobilissimade' Fabiiché il primo Fabio fu cognominato Pittoreper esser in effettoeccellentissimo pittore e tanto dedito alla pitturache avendo dipinto le muradel tempio della Salutegli inscrisse il nome suo; parendogli chebenchéfosse nato in una famiglia cosí chiara ed onorata di tanti tituli di consulatidi triunfi e d'altre dignità e fosse litterato e perito nelle leggi e numeratotra gli oratoripotesse ancor accrescere splendore ed ornamento alla fama sualassando memoria d'essere stato pittore. Non mancarono ancor molti altri dichiare famiglie celebrati in quest'arte; della qualoltre che in sénobilissima e degna siasi traggono molte utilitàe massimamente nellaguerraper disegnar paesisitifiumipontiròcchefortezze e tai cose; lequalise ben nella memoria si servasseroil che però è assai difficilealtrui mostrar non si possono. E veramente chi non estima questa arte parmi chemolto sia dalla ragione alieno; ché la machina del mondoche noi veggiamocoll'amplo cielo di chiare stelle tanto splendido e nel mezzo la terra dai maricintadi montivalli e fiumi variata e di sí diversi alberi e vaghi fiori ed'erbe ornatadir si po che una nobile e gran pittura siaper man della naturae di Dio composta; la qual chi po imitare parmi esser di gran laude degno; né aquesto pervenir si po senza la cognizion di molte cosecome ben sa chi loprova. Però gli antichi e l'arte e gli artifici aveano in grandissimo pregioonde pervenne in colmo di summa eccellenzia; e di ciò assai certo argomentopigliar si po dalle statue antiche di marmo e di bronzoche ancor si veggono. Ebenché diversa sia la pittura dalla statuariapur l'una e l'altra da unmedesimo fonteche è il bon disegnonasce. Peròcome le statue sono divinecosí ancor creder si po che le pitture fossero; e tanto piúquanto che dimaggior artificio capaci sono -.

L.

Allor la signora Emiliarivolta a Ioan Cristoforo Romano cheivi con gli altri sedeva- Che vi par- disse- di questa sentenzia?confermarete voiche la pittura sia capace di maggior artificio che lastatuaria? - Rispose Ioan Cristoforo: - IoSignoraestimo che la statuaria siadi piú faticadi piú arte e di piú dignitàche non è la pitturaSuggiunse il Conte: - Per esser le statue piú durabilisi poria forse dir chefossero di piú dignità; perchéessendo fatte per memoriasatisfanno piú aquello effetto per che son fatteche la pittura. Ma oltre alla memoriasonoancor e la pittura e la statuaria fatte per ornare ed in questo la pittura èmolto superiore; la quale se non è tanto diuturnaper dir cosícome lastatuariaè però molto longevae tanto che dura è assai piú vaga -.Rispose allor Ioan Cristoforo: - Credo io veramente che voi parliate contraquello che avete nell'animo e ciò tutto fate in grazia del vostro Rafaelloeforse ancor parvi che la eccellenzia che voi conoscete in lui della pittura siatanto supremache la marmoraria non possa giungere a quel grado: ma considerateche questa è laude d'un artificee non dell'arte -. Poi suggiunse: - Ed a mepar beneche l'una e l'altra sia una artificiosa imitazion di natura; ma non sogià come possiate dir che più non sia imitato il veroe quello proprio che fala naturain una figura di marmo o di bronzonella qual sono le membra tuttetondeformate e misurate come la natura le fache in una tavolanella qualnon si vede altro che la superficie e que' colori che ingannano gli occhi; némi direte giàche piú propinquo al vero non sia l'essere che 'l parere.Estimo poi che la marmoraria sia piú difficileperché se un error vi vienfattonon si po piú correggereché 'l marmo non si ritaccama bisogna rifarun'altra figura; il che nella pittura non accadeché mille volte si po mutargiongervi e sminuirvimigliorandola sempre -.

LI.

Disse il Conte ridendo: - Io non parlo in grazia de Rafaello;né mi dovete già riputar per tanto ignoranteche non conosca la eccellenziadi Michel Angelo e vostra e degli altri nella marmoraria; ma io parlo dell'artee non degli artifici. E voi ben dite vero che e l'una e l'altra è imitaziondella natura; ma non è gia cosíche la pittura appaia e la statuaria sia.Chéavvenga che le statue siano tutte tonde come il vivo e la pitturasolamente si veda nella superficiealle statue mancano molte cose che nonmancano alle pitturee massimamente i lumi e l'ombre; perché altro lume fa lacarne ed altro fa il marmo; e questo naturalmente imita il pittore col chiaro escuropiú e menosecondo il bisogno; il che non po far il marmorario. E seben il pittore non fa la figura tondafa que' musculi e membri tondeggiati disorte che vanno a ritrovar quelle parti che non si veggono con tal manierachebenissimo comprender si po che 'l pittor ancor quelle conosce ed intende. Ed aquesto bisogna un altro artificio maggiore in far quelle membra che scortano ediminuiscono a proporzion della vista con ragion di prospettiva; la qual perforza di linee misuratedi coloridi lumi e d'ombre vi mostra ancora in unasuperficie di muro dritto il piano e 'l lontanopiú e meno come gli piace.Parvi poi che di poco momento sia la imitazione dei colori naturali in contrafarle carnii panni e tutte l'altre cose colorate? Questo far non po già ilmarmorarioné meno esprimer la graziosa vista degli occhi neri o azzurricolsplendor di que' raggi amorosi. Non po mostrare il color de' capegli flavinonlo splendor dell'armenon una oscura nottenon una tempesta di marenon que'lampi e saettenon lo incendio d'una cittànon il nascere dell'aurora dicolor di rosecon quei raggi d'oro e di porpora; non po in somma mostrarecielomareterramontiselvepratigiardinifiumicittà né case; ilche tutto fa il pittore.

LII.

Per questo parmi la pittura piú nobile e piú capaced'artificio che la marmorariae penso che presso agli antichi fosse di supremaeccellenzia come l'altre cose; il che si conosce ancor per alcune piccolereliquie che restanomassimamente nelle grotte di Romama molto piúchiaramente si po comprendere per i scritti antichinei quali sono tanteonorate e frequenti menzioni e delle opre e dei maestri; e per quelli intendesiquanto fossero appresso i gran signori e le republiche sempre onorati. Però silegge che Alessandro amò sommamente Apelle Efesio e tantoche avendogli fattoritrar nuda una sua carissima donna ed intendendo il bon pittore per lamaravigliosa bellezza di quella restarne ardentissimamente inamoratosenzarispetto alcuno gliela donò: liberalità veramente degna d'Alessandrononsolamente donar tesori e statima i suoi proprii affetti e desidèri; e segnodi grandissimo amor verso Apellenon avendo avuto rispettoper compiacer aluidi dispiacere a quella donna che sommamente amava; la qual creder si po chemolto si dolesse di cambiar un tanto re con un pittore. Narransi ancor moltialtri segni di benivolenzia d'Alessandro verso d'Apelle; ma assai chiaramentedimostrò quanto lo estimasseavendo per publico commandamento ordinato cheniun altro pittore osasse far la imagine sua. Qui potrei dirvi le contenzioni dimolti nobili pittori con tanta laude e maraviglia quasi del mondo; potrei dirvicon quanta solennità gli imperadori antichi ornavano di pitture i lor triunfi ene' lochi publici le dedicavanoe come care le comparavano; e che siansi giàtrovati alcuni pittori che donavano l'opere sueparendo loro che non bastasseoro né argento per pagarle; e come tanto pregiata fusse una tavola di Protogenecheessendo Demetrio a campo a Rodie possendo intrar dentro appiccandole ilfoco dalla banda dove sapeva che era quella tavolaper non abbrusciarla restòdi darle la battaglia e cosí non prese la terra; e Metrodorofilosofo epittore eccellentissimoesser stato da' Ateniesi mandato a Lucio Paulo perammaestrargli i figlioli ed ornargli il triunfo che a far avea. E molti nobiliscrittori hanno ancora di questa arte scritto; il che è assai gran segno perdimostrare in quanta estimazione ella fosse; ma non voglio che in questoragionamento piú ci estendiamo. Però basti solamente dire che al nostrocortegiano conviensi ancor della pittura aver notiziaessendo onesta ed utileed apprezzata in que' tempi che gli omini erano di molto maggior valoreche oranon sono; e quando mai altra utilità o piacer non se ne traesseoltre chegiovi a saper giudicar la eccellenzia delle statue antiche e modernedi vasid'edificidi medagliedi cameid'entagli e tai cosefa conoscere ancor labellezza dei corpi vivinon solamente nella delicatura de' voltima nellaproporzion di tutto il restocosí degli omini come di ogni altro animale.Vedete adunque come lo avere cognizione della pittura sia causa di grandissimopiacere. E questo pensino quei che tanto godono contemplando le bellezze d'unadonna che par lor essere in paradisoe pur non sanno dipingere; il che sesapesseroarian molto maggior contentoperché piú perfettamente conoscerianoquella bellezzache nel cor genera lor tanta satisfazione -.

LIII.

Rise quivi messer Cesare Gonzaga e disse: - Io già non sonpittore; pur certo so aver molto maggior piacere di vedere alcuna donnache nonaríase or tornasse vivoquello eccellentissimo Apelle che voi poco fa avetenominato -. Rispose il Conte: - Questo piacer vostro non deriva interamente daquella bellezzama dalla affezion che voi forse a quella donna portate; esevolete dir il verola prima volta che voi a quella donna mirastenon sentistela millesima parte del piacere che poi fatto avetebenché le bellezze fosseroquelle medesime; però potete comprender quanto piú parte nel piacer vostroabbia l'affezion che la bellezza. - Non nego questo- disse messer Cesare; - masecondo che 'l piacer nasce dalla affezionecosí l'affezion nasce dallabellezza; però dir si po che la bellezza sia pur causa del piacere -. Risposeil Conte: - Molte altre cause ancor spesso infiammano gli animi nostrioltrealla bellezza: come i costumiil sapereil parlarei gesti e mill'altre cosele quali però a qualche modo forse esse ancor si potriano chiamar bellezze; masopra tutto il sentirsi essere amato; di modo che si po ancor senza quellabellezzadi che voi ragionateamare ardentissimamente; ma quegli amori chesolamente nascono dalla bellezza che superficialmente vedemo nei corpisenzadubbio daranno molto maggior piacere a chi piú la conosceràche a chi meno.Peròtornando al nostro propositopenso che molto piú godesse Apellecontemplando la bellezza di Campaspeche non faceva Alessandro; perchéfacilmente si po creder che l'amor dell'uno e dell'altro derivasse solamente daquella bellezza; e che deliberasse forse ancor Alessandro per questo rispettodonarla a chi gli parve che piú perfettamente conoscer la potesse. Non avetevoi letto che quelle cinque fanciulle da Crotonele quali tra l'altre di quelpopulo elesse Zeusi pittore per far de tutte cinque una sola figuraeccellentissima di bellezzafurono celebrate da molti poeticome quelle cheper belle erano state approvate da coluiche perfettissimo giudicio di bellezzaaver dovea?

LIV.

Quivimostrando messer Cesare non restar satisfattonévoler consentir per modo alcuno che altri che esso medesimo potesse gustare quelpiacere ch'egli sentiva di contemplar la bellezza d'una donnaricominciò adire; ma in quello s'udí un gran calpestare di piedi con strepito di parlaralto; e cosí rivolgendosi ognunosi vide alla porta della stanza comparire unsplendor di torchi e súbito drieto giunse con molta e nobil compagnia il signorPrefettoil qual ritornavaavendo accompagnato il Papa una parte del camino; egià allo entrar del palazzodimandando ciò che facesse la signora Duchessaaveva inteso di che sorte era il gioco di quella sera e 'l carico imposto alconte Ludovico di parlar della cortegiania; però quanto piú gli era possibilestudiava il passoper giungere a tempo d'udir qualche cosa. Cosísúbitofatto reverenzia alla signora Duchessa e fatto seder gli altriche tutti inpiedi per la venuta sua s'erano levatisi pose ancor esso a seder nel cerchiocon alcuni de' suoi gentilomini; tra i quali erano il marchese Febus eGhirardino fratelli da Cevamesser Ettor RomanoVincenzio CalmetaOrazioFlorido e molti altri; e stando ognun senza parlareil signor Prefetto disse: -Signoritroppo nociva sarebbe stata la venuta mia quis'io avessi impeditocosí bei ragionamenticome estimo che sian quelli che ora tra voi passavano;però non mi fate questa ingiuria di privar voi stessi e me di tal piacere -.Rispose allor il conte Ludovico: - Anzisignor miopenso che 'l tacer a tuttidebba esser molto piú grato che 'l parlare; perchéessendo tal fatica a mepiù che agli altri questa sera toccataoramai m'ha stanco di diree credotutti gli altri d'ascoltareper non esser stato il ragionamento mio degno diquesta compagniané bastante alla grandezza della materia di che io avevacarico; nella quale avendo io poco satisfatto a me stessopenso molto meno aversatisfatto ad altrui. Però a voiSignoreè stato ventura il giungere alfine; e bon sarà mo dar la impresa di quello che resta ad un altro che succedanel mio loco perciò chequalunque egli si siaso che si porterà molto meglioch'io non farei se pur seguitar volessiessendo oramai stanco come sono -.

LV.

- Non supportarò io- respose il Magnifico Iuliano- permodo alcuno esser defraudato della promessa che fatta m'avete; e certo so che alsignor Prefetto ancor non despiacerà lo intender questa parte. - E qualpromessa? - disse il Conte. Rispose il Magnifico: - Di dechiararci in qual modoabbia il cortegiano da usare quelle bone condizioniche voi avete detto checonvenienti gli sono -. Era il signor Prefettobenché di età puerilesaputoe discreto piú che non parea che s'appartenesse agli anni teneried in ognisuo movimento mostrava con la grandezza dell'animo una certa vivacità delloingegnovero pronostico dello eccellente grado di virtú dove pervenir doveva.Onde súbito disse: - Se tutto questo a dir restaparmi esser assai a tempovenuto; perché intendendo in che modo dee il cortegiano usar quelle bonecondizioniintenderò ancora quali esse siano e cosí verrò a saper tuttoquello che infin qui è stato detto. Però non rifutateContedi pagar questodebito d'una parte del quale già sète uscito. - Non arei da pagar tantodebito- rispose il Conte- se le fatiche fossero piú egualmente divisemalo errore è stato dar autorità di commandar ad una signora troppo parziale; -e cosíridendosi volse alla signora Emiliala qual súbito disse: - Dellamia parzialità non dovreste voi dolervi; purpoiché senza ragion lo fatedaremo una parte di questo onorche voi chiamate faticaad un altro; - erivoltasi a messer Federico Fregoso- Voi- disseproponeste il gioco delcortegiano; però è ancor ragionevole che a voi tocchi il dirne una parte: equesto sarà il satisfare alla domanda del signor Magnificodechiarando in qualmodo e maniera e tempo il cortegiano debba usar le sue bone condizioniedoperar quelle cose che 'l Conte ha detto che se gli convien sapere -. Alloramesser Federico- Signora- dissevolendo voi separare il modo e 'l tempo ela maniera dalle bone condizioni e ben operare del cortegianovolete separarquello che separar non si poperché queste cose son quelle che fanno lecondizioni bone e l'operar bono. Però avendo il Conte detto tanto e cosí beneed ancor parlato qualche cosa di queste circonstanziee preparatosi nell'animoil resto che egli avea a direera pur ragionevole che seguitasse insin al fine-. Rispose la signora Emilia: - Fate voi cunto d'essere il Conte e dite quelloche pensate che esso direbbe; e cosí sarà satisfatto al tutto -.

LVI.

Disse allor il Calmeta: - Signoripoiché l'ora è tardaacciò che messer Federico non abbia escusazione alcuna di non dir ciò che sacredo che sia bono differire il resto del ragionamento a domani; e questo pocotempo che ci avanza si dispensi in qualche altro piacer senza ambizione -. Cosíconfermando ognunoimpose la signora Duchessa a madonna Margherita e madonnaCostanza Fregosa che danzassero. Onde súbito Barlettamusico piacevolissimo edanzator eccellenteche sempre tutta la corte teneva in festacominciò asonare suoi instrumenti; ed essepresesi per manoed avendo prima danzato unabassaballarono una roegarze con estrema grazia e singular piacer di chi levide; poiperché già era passata gran pezza della nottela signora Duchessasi levò in piedi; e cosí ognuno reverentemente presa licenziase ne andaronoa dormire.